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Firenze | “Identità virtuali”, mostra al Centro di Cultura Contemporanea Strozzina

Christopher Baker, Hello World! or: How I Learned to Stop Listening and Love the Noise, 2008, Installation View, Photo: Sarah Rust Sampedro, Courtesy the artist

A Firenze, al CCCS – Centro di Cultura Contemporanea Strozzina –, dal 20 maggio al 17 luglio 2011 resterà aperta al pubblico la mostra “Identità virtuali”.
L’esposizione presenta dieci opere e installazioni di artisti internazionali che riflettono sulle conseguenze politiche, sociali e culturali – ma anche sull’impatto nella vita di tutti i giorni – del nuovo rapporto tra uomo e tecnologia nel segno delle “identità virtuali” con cui sempre più spesso affrontiamo la realtà, anche senza accorgercene.

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Michael Wolf (Germania), nella serie fotografica Street View Paris, porta all’estremo il paradosso del rapporto tra arte e tecnologia digitale, realizzando le immagini non per le strade della città francese, ma attingendo dal materiale disponibile su Google Street View.
Il fotografo Evan Baden (USA) coglie volti di adolescenti immersi nella comunicazione digitale. I visi assorti, quasi assenti, sono illuminati unicamente dalla luce degli schermi dei diversi supporti tecnologici che li connettono a una realtà virtuale apparentemente più reale di quella del mondo fisico.
Nell’opera video Immersion, Robbie Cooper (Gran Bretagna) affronta il tema del feedback visivo ed emotivo tra individuo e mondo digitale, soffermandosi sulle reazioni a videogiochi di bambini, i cui volti divengono specchi degli accadimenti sullo schermo.
Analizzando il tema della tracciabilità e del controllo che le nuove tecnologie permettono, il video The Catalogue di Chris Oakley (Gran Bretagna) mette in scena un sistema di videosorveglianza di un grande magazzino in cui le persone riprese, visualizzate e indicate attraverso i loro dati personali rintracciabili, diventano entità/identità trasparenti e, in un certo senso, vulnerabili.
Tracciabilità e visualizzazione di dati personali sono anche al centro del lavoro del designer Nicholas Felton (USA), il quale crea diagrammi e tabelle per documentare meticolosamente tutte le azioni e i dati, dai più banali ai più significativi, che caratterizzano la sua vita quotidiana.
Il collettivo etoy.CORPORATION (Svizzera) propone Tamatar, un’installazione del progetto Mission Eternity, con cui si affronta il tema dell’identità e della sua memoria a partire dalle diverse tracce lasciate nell’interazione con la rete, riflettendo su ciò che rimane della persona dopo la morte.
Il gruppo Les liens invisibles (Italia) si caratterizza per progetti online che, con ironia ma sempre puntando su un forte senso di attivismo politico, riflettono su distorsioni e paradossi nel rapporto con i social network. Il loro progetto Seppukoo permetteva di riprendere possesso della propria identità e del proprio anonimato commettendo il “suicidio” del proprio profilo su Facebook, che ha bloccato questa applicazione.
Il Sociable Media Group (USA) del MIT di Boston propone Metropath(ologies), un’installazione multimediale che, tramite il semplice inserimento del proprio nome, permette la visualizzazione spaziale di frammenti di informazioni disponibili online di ogni persona, dimostrando la trasparenza e la visibilità dell’individuo sulla rete.
Sul tema della comunicazione partecipativa online, la videoinstallazione Hello World! di Christopher Baker (USA) mette in scena un monumentale puzzle di video provenienti da YouTube, in cui, dall’intimità della loro sfera privata, singoli individui lanciano il loro videomessaggio al pubblico anonimo e globale della rete, creando un’accumulazione in cui centinaia di voci si uniscono in un indistinto rumore di fondo.
Approfondendo ulteriormente i temi della dissolvenza del singolo e dell’omologazione dell’individuo nella massa degli utenti online, l’opera Mass Ornament di Natalie Bookchin (USA) crea un’unica coreografia di movimenti unendo video tratti da YouTube, in cui singole persone ballano nella solitudine delle loro case private, davanti all’occhio della webcam.

La mostra ospita anche un progetto della fotografa iraniana Diana Djeddi (Iran/Germania) che ricostruisce il caso di Neda Agha-Soltan, la giovane studentessa uccisa a Teheran durante le manifestazioni del 2009.

Accompagna la mostra un catalogo bilingue (italiano/inglese) pubblicato da Silvana editoriale.

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