HomeIn primo pianoSinestesia e comprensione dell'arte. Riflessioni sulla pittura di Francesco Guerrieri

Sinestesia e comprensione dell’arte. Riflessioni sulla pittura di Francesco Guerrieri

Francesco Guerrieri

A livello internazionale, il nostro è un periodo in cui, come afferma Klaus Honnef, “gli oggetti e i fenomeni che vengono dichiarati ‘opera d’arte’ sono, indipendentemente da una superficiale varietà e multiformità, tanto simili da poter essere scambiati” (1), un periodo in cui, mi pare, nel campo artistico si sia fatta tanta sperimentazione sul (e del) disgusto, si sia provocata tanta ripugnanza del basso e del degradato da essere spinti a stabilire dentro di noi dei confini e a tenere sotto controllo il caos generato da certa “arte” definita kitsch.
Ha ragione William I. Miller nel sostenere che “una relazione pericolosa”, ambigua, ci lega ai processi vitali fondamentali e che è proprio il disgusto a spingerci oltre la dimensione fisica della carne e a metterci in guardia contro gli affascinanti pericoli del nostro mondo. L’esperienza si fa storia dentro di noi, e, come la storia, è sempre maestra di vita, quando la sappiamo interrogare. L’esperienza del disgusto può rivelarci, infatti, una sua insospettata valenza positiva, che si manifesta quando il disgusto diventa il modo per esprimere una condanna nei confronti del male, dell’ipocrisia, della crudeltà, della volgarità, del brutto(2), elementi negativi che con una parola chiamerei superstizione.

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Certo il panorama dell’arte figurativa così come si presenta nei primi dodici anni del XXI secolo può definirsi talmente vario da sembrare anche un po’ confuso per quanto attiene alla stessa definizione di arte. Nel mondo ormai globalizzato si è diffuso il Know-how tecnico-scientifico occidentale e le opere sono spesso un miscuglio di contenuti culturali diversi e di comunissimi oggetti di consumo che si vuol riempire di significati diversi. Chiaramente questo processo di significazione non riguarda solo chi è pervaso da attività creativa ma anche i fruitori del prodotto artistico in quanto a loro appartiene la comprensione dello stesso. Cosa, anche quest’ultima, non sempre semplice.

Ci sono, infatti, forme di comprensione che non sono accessibili né attraverso la psicologia empirica né attraverso quella che viene chiamata scienza cognitiva. Sono forme intuitive che sembrano oltrepassare i confini della scienza e che riguardano non solo l’apprezzamento della poesia e delle arti in genere, ma anche la comprensione delle emozioni.
Alla base di queste forme vi è un processo di attribuzione di senso a cui gli uomini pervengono anche condividendo la cultura in uno specifico contesto storico. È una prospettiva in cui la mente si riapre agli stati intenzionali come le credenze, i desideri e le emozioni. Per questo ogni uomo ha una propria modalità privilegiata di approccio alla conoscenza, che dipende ugualmente dagli aspetti cognitivi e da quelli affettivi della personalità.

Ma se la conoscenza non è una procedura astratta, astratti sono, invece, per le neuroscienze i collegamenti fra segnali apparentemente non correlati, creati dal cervello attraverso l’utilizzo dell’elaborazione delle informazioni sensoriali. Sembra, infatti, che l’attivazione incrociata di due regioni cerebrali, che di solito sono separate, producano una forma parziale di sinestesia, che consiste nel mescolamento di percezioni pertinenti a due o più sensi. Sarebbe questo il fenomeno nel quale probabilmente affondano le radici la creatività, la capacità di creare metafore e persino il linguaggio(3).

Dunque l’atto creativo (o la fruizione di un atto creativo) sembra essere l’effetto di una situazione sinestèsica, una situazione in cui chi ne è affetto vive il mondo in modo straordinario e gli sembra di abitare una misteriosa terra di nessuno, sospesa tra la fantasia e la realtà. In questo ambito va situata l’opera dei grandi artisti, grandi per il carattere di originalità che nella loro opera i fruitori trovano impresso.

Alla luce delle riflessioni fatte fin qui ritengo possa essere presa in considerazione la necessità di dare maggiore e migliore spazio a quelle sperimentazioni ed espressioni dell’arte contemporanea come l’informale, il costruttivismo geometrico, lo “strutturalismo”, e parte dell’arte minimalista, che principalmente la Pop Art, figlia dei mass media e della pubblicità, aveva oscurato probabilmente con il contributo della maggior parte della critica che le aveva trascurate perché più difficili a diventare, o ad aiutare a far diventare, popolari.

Può in questo stesso ambito rientrare la pittura di Francesco Guerrieri? A giudicare da quanto è stato esposto, dal 31 marzo al 27 maggio 2012, nella mostra antologica a lui dedicata(4) al MACA di Acri , la risposta è sì.
Ma cerchiamo innanzitutto di vedere quale è il percorso artistico di Francesco Guerrieri e di identificare gli stimoli culturali che hanno determinato il suo messaggio artistico e i caratteri identificativi di questo, valutandone la portata nel mondo dell’arte contemporanea, nella cultura in genere e nel nostro approccio con la realtà.

L’artista nasce nel 1931 a Borgia (Catanzaro), ma dal 1939 vive a Roma, dove completa i suoi studi classici fino alla laurea e dove successivamente orienta i suoi interessi verso l’arte seguendo corsi di formazione presso l’Académie de France de Rome e presso l’Accademia dell’Associazione Artistica Internazionale.
Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta inizia la sua produzione pittorica sulla scia delle correnti dell’informale e del polimaterico. Egli sperimenta, così, la vitalità della materia attraverso il processo di semiotizzazione generato dalla manipolazione e dall’utilizzo della stessa.
Già nel 1962 viene influenzato dalla fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty, dallo strutturalismo e dal Gestaltismo (Gestaltpsychologie), per cui con le tecniche dell’olio o dell’acrilico sperimenta il campo della percezione “sia nei processi retinici che in quelli più complessi e organizzati”(5) e realizza quelle geometrie strutturali che egli chiama ‘Strutture continue’, ‘Strutture visive’ o ‘Strutture significanti’.
Si tratta di tele nelle quali utilizza solo strisce di tre colori: il rosso, il bianco e il nero. Ad esse egli dà nomi molto significativi: Continuità, Ritmo, Ritmostruttura, Ritmostruttura con variazioni ondulari. C’è una tendenza all’azzeramento concettuale di ogni significante sia iconografico sia individuale-stilistico, attraverso una modalità ripetuta quasi sempre uguale, ma non abbastanza da far disperdere una coinvolgente sensazione ondulovibropulsante, esperienza che ritroviamo, poi in forma esasperata e piatta, in Daniel Buren (Peinture. Manifestation III, 1967, e La cabane éclatée n.7, 1985).

Come fa notare Teodolinda Coltellaro “le unità elementari, su cui si fonda il sistema segnico costruito da Guerrieri, si arricchiscono di nuove variabili: le strisce variano in larghezza, ma anche in altezza, con tagli in diagonale e ad angolo di diversa ampiezza; producono traslazioni nello spazio della tela, effetti ondulatori e di alternanza figura-sfondo”(6).

Sono effetti che possiamo definire sensazioni ottico-cinetiche molto sfruttati poi nella Op Art (Optical Art) di cui costituiscono il fulcro.
Nelle tele di Francesco Guerrieri si intuisce quanta importanza egli assegni alla fase preliminare o di progettazione dell’opera. Mi sembra di leggervi le parole di Sol Le Witt, esponente della Minimal Art americana: “Quando un’artista usa una forma d’arte concettuale tutte le decisioni del progetto vengono prese in fase preliminare e il momento dell’esecuzione effettiva è considerato secondario”(Paragrafs on Conceptual Art, in ‘Artforum’, estate 1967).

Il passo successivo nel percorso artistico di Guerrieri è la sperimentazione, nelle sue tele, delle irradiazioni prodotte da un solo colore, il giallo, in due diverse intensità alternate, su fondo bianco.
Intanto con l’artista Lia Drei, sua moglie nella vita, fonda, nel settembre 1963, lo Sperimentale p (p sta per puro). Insieme ne firmano la prima e la seconda dichiarazione poetica nella quale oltre agli evidentissimi influssi sopraddetti, si precisa l’importanza del metodo di ricerca sperimentale e la necessità della conoscenza del pensiero scientifico moderno.

Ma volendo chiarire ancora meglio il Guerrieri strutturalista soffermiamoci ancora un po’ e ritorniamo a quando, a partire dal 1964, nelle sue composizioni egli “gioca” con le inversioni di colore negli elementi compositivi (figura, sfondo). Assistiamo così a un dominio del bianco, che tu avverti  come figura strana posta in primo piano, lasciando poco spazio a due variazioni tonali, come dicevamo, di giallo vagante a strisce. Arriviamo ad una riappropriazione dell’intero spazio pittorico della tela da parte del bianco assoluto, che la Coltellaro, curatrice della mostra, sottolinea con queste parole: “(Guerrieri), rigoroso ed ineccepibile nelle sue modulazioni cromatiche, toglie ad esse spazio visivo fino al limite dell’essenzialità”(7).

Oltre questo limite vi è la “virtualità del pensiero”, la vibrazione dell’universo dentro di noi, che siamo parte dell’universo. A questo punto l’opera può essere considerata veramente una “opera aperta”, nell’accezione di Umberto Eco. Ed è questo che Guerrieri ci fa cogliere allorquando nel 1976 procede all’eliminazione totale della tela, facendo scivolare sui lati del telaio (che resta) alcune tracce di strisce gialle. In opere successive egli riempie il vuoto “immarginando”, nella dimensione finita del quadro la realtà fisica dell’ambiente. Arriverà anche ad allestire opere di Metapittura (la pittura che racconta “parlando” di se stessa).

Tra le opere più recenti (2011) c’è da sottolineare un ritorno alle strisce rosse e nere in forme geometriche e curve su fondo bianco. Sono pitture in cui viene esaltato il dinamismo (una tela ha come titolo Dinamismo. Omaggio al Futurismo). È un giusto riconoscimento al movimento artistico-culturale, il Futurismo, dentro il quale certamente affondano le radici dell’esperienza pittorica di Francesco Guerrieri. Infatti, ad esempio, in Boccioni costante era la preoccupazione di rappresentare il movimento. Egli riteneva che un corpo fermo si muoveva in quanto partecipe del dinamismo universale. Di conseguenza egli attuava la simultaneità con la presentazione della figura che va e viene, rimbalza, appare e scompare, sollecitata dalla vibrazione universale.

Tuttavia Guerrieri non intende affermare che si debba fare ad ogni costo dell’arte cinetica ma che occorre mirare ad una fruizione dinamicamente attiva del quadro o di altro oggetto estetico che sia. Egli ritiene tutto questo importante per rendere attivamente partecipe il fruitore della costruzione dinamica, della formazione della forma, perché può essere compito socialmente utile, didattico, se non rivoluzionario, nei confronti di un’imposizione dall’alto delle forme da consumare.

Come nell’arte di  un altro futurista, Luigi Gallina,  in alcuni quadri di Guerrieri (Verso la luce, 2012) i segni sembrano elementi rarefatti colti in uno spazio ad altissima entropia, un universo vuoto.  Infatti, Luigi Gallina, sperimentò una vera e propria distruzione del significante della parola scritta, attraverso una segmentazione e una disposizione non più necessariamente rettilinea e orizzontale dei piccoli segmenti ottenuti, generando, a volte, una specie di ideogrammi, altre volte delle suggestive  figure note e altre volte ancora delle tavole dal carattere esoterico o ludico, così che ti sembra di assistere ad un ritorno alle origini dell’arte figurativa, cioè a quando essa era trasposizione simbolica e non calco della realtà, ed era quindi, come dice André Leroi-Gourhan, “direttamente collegata al linguaggio”, molto vicina alla scrittura.

Le forme pittoriche di Guerrieri sono oggi tra quelle che più delle altre possono arricchirsi dell’esperienza estetica virtuale ed arrivare così alla mimèsi totale. Ce lo dimostra Cory Arcangel con le sue opere digitali (cfr. l’opera Colors, 2005).
Non solo ma non è da sottovalutare quest’ultima seguente riflessione. Come in linguistica dallo strutturalismo di Fernand de Saussure si è passati al generativismo e alla sua ricerca degli universali linguistici di Noam Chomsky, e poi alla biolinguistica e più recentemente alla glottobiologia, interessate allo studio dei fondamenti biologici del linguaggio, così la pittura di Guerrieri, attraverso le operazioni rappresentate dall’emarginazione (sui bordi e sui lati della tela) e dalla riduzione di residui segni gialli a vantaggio del bianco dominante, mira a cogliere i fondamenti cinetici del pittèma (unità fondamentale del sistema linguistico-pittorico, molto vicina al cinèma del quale Pier Paolo Pasolini auspicava lo studio). Ciò implicherà una inevitabile immissione di questi studi sulla stessa strada percorsa da chi si interessa dei fondamenti biologici del linguaggio in generale.

Allora, possono le opere di Guerrieri rientrare fra quelle che meritano di essere considerate “sempre verdi”? Credo proprio di sì, specialmente quelle del periodo gestaltico e strutturalista, perché esse soddisfano la soggettiva esigenza di “chiarezza concettuale, potenziale critico, qualità estetica, facilità di approccio e la capacità di operare in vista della demolizione dei privilegi” (J. Heiser, Plötzlich diese Űbersicht. Was gute zeitgenössiche kunst ausmacht, Claassen, Berlin 2007, p. 344) e in più esse stimolano emozioni nei fruitori, influenzandone i comportamenti e arricchendone la crescita culturale, senza escludere un soddisfacimento edonistico o, se volete, narcisistico.
Ritengo sia un dovere valutare con più attenzione e in maniera più approfondita l’opera pittorica di Francesco Guerrieri  per poter interpretare meglio il travolgente percorso dell’arte dalla seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri.

Rinaldo Longo

 

NOTE

(1) Klaus Honnef, ‘Definizioni critiche dell’arte contemporanea’, in L’ARTE DEL XX SECOLO, Tendenza della contemporaneità, 2000 e oltre, Skira edit., Milano 2009, p. 142.[↑]

(2) William I Miller, Anatomia del disgusto, Mc Graw-Hill Libri Italia, Milano 1998 [↑]

(3)Vilayanur S. Ramachandran e Edward M. Hubbad, “Sentire i colori, gustare le forme”, in Dai neuroni alla coscienza. L’architettura del cervello, i misteri della mente, Le Scienze, Roma 2005, pp. 109-119. [↑]

(4)Francesco Guerrieri, Dal polimaterico all’essenza della struttura (Opere 1959-2012), a cura di Teodolinda Coltellaro. Mostra promossa da BCC Mediocriati.[↑]

(5)L. Drei e F. Guerrieri, Sperimentale p. dichiarazione poetica, in Quaderno 1964, Il Bilico, Roma 1964.[↑]

(6) Teodolinda Coltellaro, Francesco Guerrieri. Dal polimaterico all’assenza della Struttura, nel catalogo ‘Francesco Guerrieri. Dal polimaterico all’essenza della struttura. Opere 1959-2012’, Collana “Quaderni del Museo” n. 17, MACA di Acri, Oesum led icima 2012, p. 14 [↑]

(7)Ibidem[↑]

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