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Antonio Ligabue in mostra a Gualtieri (RE)

Antonio Ligabue, Tigre reale, china e pastelli a cera su carta intestata dell’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, 1941, 36x50 cm
Antonio Ligabue, Tigre reale, china e pastelli a cera su carta intestata dell’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, 1941, 36×50 cm

È dedica ad Antonio Ligabue, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, l’antologica che, dal 31 maggio all’8 novembre 2015, è aperta al pubblico a Palazzo Bentivoglio di Gualtieri (RE).

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L’esposizione, curata da Sandro Parmiggiani e Sergio Negri, presenta 180 opere, tra dipinti, disegni, incisioni e sculture in terracotta che ripercorrono la vicenda umana e creativa di uno degli autori più geniali e originali del Novecento italiano.

Il percorso si snoda attraverso alcuni dei massimi capolavori di Ligabue, da Tigre con serpente, gazzella e scheletro, Leopardo che assale un cigno, Tigre reale degli anni Trenta e primi anni Quaranta, per poi passare all’impressionante galleria di autoritratti, da Autoritratto con pianoforte e torre della fine degli anni Quaranta, ai dolenti Autoritratto con berretto da motociclista del 1954-55, Autoritratto del 1958 e all’Autoritratto con berretto da fantino del novembre 1962, poco prima che l’emiparesi lo colpisse e gli impedisse di continuare a dipingere. Non mancano altri capolavori, dai paesaggi bucolici e agresti, in cui sulla linea dell’orizzonte si stagliano castelli e costruzioni della Svizzera conosciute nell’infanzia e nell’adolescenza, alle Carrozze con postiglione, ad alcune versioni dei Cavalli imbizzarriti dal temporale e delle Lotta di galli, a Traversata della Siberia e Aquila con volpe della fine degli anni Quaranta, alla Caccia al cinghiale, alla Vedova nera con volatile e alla Testa di tigre della metà degli anni Cinquanta.

Ligabue rappresenta sia animali domestici, colti in un’atmosfera agreste e bucolica, inseriti in paesaggi in cui giustappone le terre piatte della Bassa reggiana e i castelli, le chiese, le guglie, e le case con le bandiere del vento sui tetti ripidi, della natia Svizzera, sia gli animali della foresta e della giungla – tigri, leoni, volpi, aquile, gorilla – di cui conosceva molto bene l’anatomia, spesso colti nel momento in cui stanno per piombare sulla preda agognata, con un’esasperazione di stampo espressionista che coinvolge anche il colore.

Quello degli autoritratti costituisce un filone di altissima e amarissima poesia nell’arte di Ligabue. In essi, il pittore si colloca in primo piano, quasi a occupare tutto lo spazio della scena, sullo sfondo di un paesaggio che pare quasi sempre, salvo rare eccezioni, un dettaglio del tutto ininfluente.
I suoi autoritratti compendiano una perenne, costante condizione umana di angoscia, di desolazione e di smarrimento, un lento cammino verso l’esito finale. Il suo volto esprime dolore, fatica, sgomento, male di vivere; ogni relazione con il mondo pare essere stata per sempre recisa, quasi che l’artista potesse ormai solo raccontare, per un’ultima volta, la tragedia di un volto e di uno sguardo, che non si cura di vedere le cose intorno a sé, ma che chiede, almeno per una volta, di essere guardato.

La mostra, accompagnata da un catalogo edito da Skira, è patrocinata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Emilia Romagna, della Provincia di Reggio Emilia, ed è la prima iniziativa organizzata dalla Fondazione Museo Antonio Ligabue e dal Comune di Gualtieri.

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