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Silvio Vigliaturo tra informale materico e post-futurismo

Silvio Vigliaturo
Una visita alla mostra di sculture in vetro e acciaio e di pitture di Silvio Vigliaturo, allestita nel Castello Ducale di Corigliano Calabro (dall’ 11 luglio al 30 ottobre 2015), si è posta come un obbligo verso uno degli eventi più interessanti nel campo dell’arte contemporanea.
Il nome di Silvio Vigliaturo è legato allo Studio Glass (una corrente mondiale nata spontaneamente e formata da oltre una ventina di artisti, i quali da un venticinquennio lavorano la pasta di vetro in modo completamente nuovo, sia sul piano tecnico che artistico), al MACA, il Museo d’Arte Contemporanea di Acri (Cosenza), alla sua partecipazione al padiglione Italia della 54^ Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia (a cura di Vittorio Sgarbi), alla sua partecipazione a mostre personali e collettive in varie parti del mondo e infine al fatto che sue opere si trovano in alcuni dei più importanti musei del mondo.

I lavori che questo artista calabrese, che vive a Chieri (Torino), ha esposto a Corigliano sono un vero invito, per chi di critica d’arte si interessa, a sperimentare il proprio linguaggio su di essi, naturalmente un linguaggio che eviti i luoghi comuni e che miri a scoprire le scaturigini dell’opera stessa. Infatti, egli è un artista che lascia intravedere, sia a livello di segni pittorici (pittemi) che di segni scultorei (scultemi), quegli elementi distintivi che hanno consacrato grandi nella storia dell’arte artisti come Paul Klee, Matisse, Picasso, Modigliani, Kandiskij, oltre agli Impressionisti.

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Silvio Vigliaturo già da bambino è attratto in maniera inconscia da questi segni nella natura e nelle cose della sua terra d’origine, ricca di sole, di colore e di storia, ma, per come a me dichiarato in un’intervista la sera dell’inaugurazione della mostra, è all’età di 11 anni che essi cominciano ad essere per lui stimolanti e oggetto di meditazione. Ẻ quello il momento in cui, iniziate le scuole medie, su un album, che compera per esercitarsi nell’ora di disegno, vede stampata un’opera di Paul Klee. Ẻ la “folgorazione”! Gli album da disegno in coperitna riportavano, in quegli anni, opere di artisti contemporanei (Matisse, Picasso, Modigliani, Paul Klee, Kandiskij, gli Impressionisti). Dunque alle scuole medie egli prende contatto con opere di questi artisti. Quei segni (grafemi e pittemi) che già gli appartenevano inconsciamente, egli li vede, estrapolati dalla natura e dalla materia, costituire monemi e sintagmi di discorsi pittorici che toccano le corde del pensiero e dell’anima. Quei segni costituiscono il vocabolario utilizzato per la composizione delle sue opere di pittura e delle sculture totemizzate in pasta di vetro.
Non vi sono dubbi che Silvio Vigliaturo conosce la storia dell’arte e quella del vetro come materia utilizzata dall’uomo sin dall’antichità.
Nella citata intervista, ad una domanda su “vetro: fragilità e preziosità”, egli dà notizie storiche sulla pasta di vetro spesso e resistente e sul vetro sottile. «Il vetro è fragile, perché è la cultura del passato che lo ha fatto vedere come tale», esordisce Vigliaturo, e poi spiega che i Romani soffiando il vetro lo resero contenitore esile e sottile per far vedere il contenuto, e tale uso fu dominante dal 1498 e portò all’instaurarsi di una cultura del vetro trasparente ma fragile.
Oggi si hanno tecniche che permettono di ottenere dalla pasta di vetro un materiale dall’utilizzo strutturale, dei vetri spessi, resistenti, trasparenti e/o artisticamente lavorabili con le tecniche dello Studio Glass. Ebbene sono queste che in particolare rendono originali e solide le opere di Silvio Vigliaturo. I suoi totem, che costituiscono la maggioranza delle trenta opere esposte nella mostra, sono opere “monumentali in acciaio e vetro”. Essi presentano parti di elementi formali dai colori vivaci affogati e cristallizzati nell’informale. Sono per lo più sculture maestose in vetro e dipinti dove il tratto fluido e vorticoso, caratteristico di Vigliaturo, opera come la bacchetta magica di un mago e recupera luoghi e segni della memoria, miti e racconti di una storia antica di millenni, ed ecco il fruitore gustare trasparenze di colori possibili solo attraverso il vetro e sembianze di fluidità e di vibrazioni, gustare peso della materia e leggerezza di forme.

I generi artistici e i materiali che contraddistinguono le opere di Vigliaturo subiscono l’influenza dell’entropia attivata dalla sperimentazione di tecniche e soluzioni artistiche sicuramente nuove (es.: Gli equilibristi, tre personaggi capovolti vestiti di colori sgargianti che vogliono, come è stato scritto, suggerire “leggerezza di spirito nell’equilibrio instabile dell’epoca contemporanea”).
Le opere di Silvio Vigliaturo sicuramente esprimono in un trasparente e colorato mantello entropico la sommatoria di quanto ci è stato offerto dall’informale materico interpretato con spirito post-futurista. Ma il post-futurismo non può che essere identificato con un’azione artistica che miri a togliere l’arte dal cul de sac in cui brancola, dal pantano in cui ristagna. Silvio Vigliaturo ci spinge alla riflessione dei momenti di superstizio e di quelli di religio da cui il pensiero e la storia dell’uomo sono stati sempre dominati facendoci respirare una benefica, nitida e serena aria di “religio“. I suoi totem non sono ispiratori di morte ma rievocazioni di storia e quieti àuguri.
L’artista sembra agire con religiosa attenzione in questo senso, sembra che egli stia su una interessante strada che sperimenta situazioni attinenti all’entropia e che è attenta all’uso e agli effetti di intervalli frastici e di azioni sinestesiche nella composizione. È questa una strada ricca di energia fecondante come quella dell’arte digitale.

Rinaldo Longo

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