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Transformers, mostra al MAXXI di quattro creativi, visionari e sognatori

Choi Jeong-hwa, Breathing Flower, Fukuoka Airport, Japan, 2014
Choi Jeong-hwa, Breathing Flower, Fukuoka Airport, Japan, 2014

Il MAXXI di Roma ospita la mostra Transformers, con opere di Choi Jeong-hwa (Seoul, Corea 1961), Didier Fiuza Faustino (Chennevières-sur-Marne, Francia 1968), Martino Gamper (Merano, Italia 1971) e Pedro Reyes (Mexico City, Messico 1972).
I protagonisti dell’esposizione sono al contempo artisti, designer e attivisti sociali, veri e propri Transformers.

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Ad accogliere il visitatore, nella piazza del museo, l’installazione Golden Lotus di Choi Jeong-hwa, un gigantesco fiore di plastica dai petali dorati di 10 metri di diametro che, gonfiandosi e sgonfiandosi, riproduce la sensazione del  respiro. Nelle gallerie interne ancora tre dei suoi spettacolari lavori: Cosmos, una cascata di perle colorate che suggerisce l’immersione tra miriadi di costellazioni; Hubble Bubble, una foresta verde sospesa, fatta di 3000 scolapasta in plastica, in cui il pubblico può entrare, esplorare, perdersi; l’installazione Life Life, fatta di lunghi palloncini colorati che ogni giorno si rinnova grazie al loro progressivo cadere, sgonfiarsi e scoppiare e grazie all’intervento dei visitatori che possono gonfiarne e aggiungerne altri.

Proseguendo il percorso, si incontra Post Forma, una particolare collezione di sedie che, con interventi di tessuto filato a mano e vetro soffiato, cambiano, si modificano, si trasformano.  È il progetto che Martino Gamper, il cui lavoro si pone al confine tra arte e design enfatizzando il work-in-progress e la partecipazione sociale, ha pensato per il MAXXI. La sedia implica riposo, socialità, dialogo, scambio.

Sono l’emblema della violenza e dell’aggressività, ma possono diventare musica e veicolare un messaggio di pace. Così Pedro Reyes, formazione da architetto, trasforma pistole e fucili in un’orchestra meccanica, l’installazione Disarm, realizzata con i resti delle armi raccolte e distrutte dall’esercito messicano. In mostra anche Disarm Instruments: cinque sculture realizzate anch’esse con armi, che riproducono strumenti musicali come violino, basso, xilofono, flauto di pan e bastone della pioggia.  A completare il lavoro e stimolare ulteriormente la riflessione, un giornale con dati, numeri, informazioni sconcertanti sulla produzione e il traffico d’armi.

Chiude il percorso della mostra Lampedusa, l’installazione site specific dell’artista e architetto Didier Fiuza Faustino: una gigantesca boa in polistirolo cui aggrapparsi per salvarsi la vita, collocata di fronte a una grande riproduzione de La Zattera della Medusa di Géricault. Altrettanto forte e inquietante l’opera Body in Transit,  una cassa progettata per poter essere appesa al carrello di un aereo, uno spazio minimo pensato per il trasporto degli emigranti clandestini, un lavoro di “design” di denuncia presentato alla Biennale di Venezia nel 2000 e presente nelle collezioni del Centre Pompidou. Ultimo lavoro esposto è Exploring Dead Buildings 2.0, una installazione che l’artista ha realizzato a L’Avana, nell’edificio utopistico progettato nel 1961 – 65 dall’architetto italiano Vittorio Garatti destinato a una scuola di danza mai entrata in funzione. Grazie all’intervento di Faustino l’edificio, in disfacimento, torna a nuova vita.

La mostra, aperta al pubblico dall’ 11 novembre 2015 al 28 marzo 2016, è a cura di Hou Hanru, con Anne Palopoli.

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