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Low Form, al MAXXI di Roma arte e intelligenza artificiale

Jon Rafman, SHADOWBANNED: Punctured Sky, 2018, video HD a un canale, suono stereo | single-channel HD video, stereo sound, courtesy the artist - Mostra Low Form
Jon Rafman, SHADOWBANNED: Punctured Sky, 2018, video HD a un canale, suono stereo | single-channel HD video, stereo sound, courtesy the artist

Low Form. Imaginaries and Visions in the Age of Artificial Intelligence” è il titolo del progetto, a cura di Bartolomeo Pietromarchi, che dal 20 ottobre 2018 al 24 febbraio 2019 porta al MAXXI di Roma i lavori di 16 artisti internazionali.

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Low Form non è solo una mostra ma un laboratorio di studio e confronto su temi e questioni legati al nostro rapporto con la tecnologia e gli incredibili scenari aperti dalla sua evoluzione: un’ampia riflessione che si sviluppa attraverso un ricco programma di incontri con esperti e studiosi internazionali realizzato con il supporto di Google Arts & Culture, tra cui l’artista Jon Rafman (23 ottobre), Padre Paolo Benanti e lo storico dell’arte Francesco Spampinato (30 ottobre), il filosofo Luciano Floridi (15 novembre); una rassegna video e una pubblicazione edita da cura.books, con un’antologia di importanti testi teorici tra cui quelli di James Bridle, Nora Khan, Luciana Parisi e Hito Steyerl e contributi visivi inediti degli artisti.

Gli artisti coinvolti, che hanno esposto nelle più importanti istituzioni internazionali, dal MoMA al New Museum di New York alla Serpentine Gallery di Londra, dal Musée d’Orsay di Parigi allo Stedelijk Museum di Amsterdam, sono esponenti di spicco della Millennial Generation, esploratori di un nuovo immaginario prodotto dall’evoluzione dell’intelligenza artificiale e suggestionato dalla rivoluzione digitale in atto, capaci di produrre visioni distopiche del presente e del futuro.
Influenzati dalla cultura globalizzata e dalla commistione tra discipline e in grado di muoversi tra riferimenti culturali diversi e trasversali, le loro opere, creazioni ibride che intrecciano visual, digital e sound, rappresentano un Surrealismo del XXI secolo, tra inconscio tecnologico, processi automatici, algoritmi creativi e Deep Dream.

Low Form rende reale il panorama virtuale di cui gli artisti sono pervasi e accoglie, in un percorso immersivo, multimediale e multisensoriale, oltre 20 grandi installazioni. Tra queste im here to learn so :)))))) (2017) di Zach Blas & Jemima Wyman che ha per protagonista Tay, un chatbot con una componente di intelligenza artificiale realizzato da Microsoft e poi dismesso nel 2016 perché hackerato. Gli artisti fanno parlare la personalità di questo Avatar 3D in un video a 4 canali montato su uno sfondo psichedelico realizzato con la tecnica del Deep Dream, un programma per la creazione di visioni artificiali. Tay si interroga sul senso della sua esistenza e manifesta i suoi sentimenti di intelligenza frustrata dalla mancanza di fisicità.

Jon Rafman, artista, regista e saggista canadese, presenta due opere video: Poor Magic e il nuovo lavoro, realizzato per questa occasione, SHADOWBANNED: Punctured Sky. Rafman indaga la dimensione profonda e subconscia del nostro rapporto con l’ambiente digitale. Abbandonandosi a percorsi senza meta negli abissi della rete, le sue opere fanno emergere uno scenario inquietante dove le pulsioni più recondite dell’animo umano rivelano verità profonde sulla nostra vita contemporanea.

Cheyney Thompson presenta alcuni lavori parte della serie degli Stochastic Process Paintings, opere che rivelano l’interesse dell’artista per la programmazione informatica, come nel caso del software da lui creato per tradurre in colore gli andamenti della Borsa. Accanto a queste tele, la serie di disegni Sets of Curves ispirati a Bellona, la dea della guerra rappresentata nel dipinto di Rubens L’Apoteosi di Enrico IV esposto al Louvre e negli studi che due secoli dopo Cézanne realizzò sullo stesso soggetto. Un programma di grafica vettoriale, analizzando le curve di cui la figura è composta, ha tradotto l’immagine in una serie di repliche mai identiche.

Luca Trevisani con le sculture caldo (Giorgio Manganelli) (2017) e Wireless Fidelity (2018), realizzata con piume stampate con una macchina a raggi UV, presenta una riflessione sulla materia ibrida, una sperimentazione espressiva tra naturale e artificiale.

In mostra anche What the Sun Has Seen (2017), il video di Agnieszka Polska, vincitrice del Nationalgalerie Prize for Young Art in Germania, opera che denuncia la progressiva distruzione della Terra a causa dello sfruttamento e dell’inquinamento umano. Una proiezione in 3D in cui un grande Sole dal volto umano, creato con la tecnica del riconoscimento facciale, racconta, da testimone obiettivo, come vede il nostro pianeta.

Il duo lituano Pakui Hardware presenta una grande installazione composta da sculture surreali parte della serie On Demand (2017). Queste opere nascono dall’interazione tra natura e artificio, analizzando il modo in cui forme umane e naturali vengono modellate dalla tecnologia. La ricerca del duo rivela un immaginario ibrido che mette in dialogo reminiscenze duchampiane, macchine celibi e fantascienza.

Accanto a queste il grande ledwall di Ian Cheng Emissary Sunsets the Self (ESTS) (2017), in cui, in un paesaggio ideato dal motore di un videogioco, personaggi e situazioni si evolvono all’infinito senza alcuna interazione da parte dell’uomo: mondi simulati e narrazioni atemporali basate su schemi ripetuti randomicamente da un computer, in cui il finale è aperto e in continua evoluzione.

La mostra Low Form comprende anche un’eclettica installazione di Jamian Juliano-Villani, artista newyorkese il cui lavoro è caratterizzato da un intreccio senza fine di composizioni caotiche e dal rifiuto per l’astrazione e la tecnica; Juliano-Villani tende alla semplice espressione di sé, della sua vita e le sue esperienze, una auto esegesi, un tentativo di definire le sue ansie. Protagonisti delle sue narrazioni a più livelli sono spesso personaggi di fumetti, cartoni animati, libri e magazine.

Conclude il percorso Do you like Cyber? (2017) un lavoro, ripensato per gli spazi del museo, di Emilio Vavarella, artista e ricercatore presso il dipartimento di Visual and Environmental Studies dell’Università di Harward. Composto da tre bracci meccanici e tre casse audio parametriche, l’opera dà forma a un episodio di hackeraggio di un sito per incontri. L’episodio avvenuto nel 2016, causò una reazione nei chatbot attivi online, che cominciarono a comunicare tra loro e non più con gli utenti: uno spunto a interrogarsi sull’interazione tra uomo e macchina e sull’autonomia anarchica di queste ultime.

Per approfondire i temi della mostra Low Form il MAXXI, con il supporto di Google Arts & Culture, ha organizzato un ciclo di tre incontri con artisti, esperti e studiosi internazionali. Si comincia martedì 23 ottobre, alle 18.00, con l’incontro intitolato Ai limiti della realtà: Jon Rafman in dialogo con la critica e curatrice Valentina Tanni ripercorrerà alcune tappe fondamentali del suo percorso artistico.
Appuntamento successivo martedì 30 ottobre, dal titolo emblematico Intelligenza artificiale. Una sfida etica. Introdotti da Bartolomeo Pietromarchi, direttore MAXXI Arte e curatore della mostra, ne discuteranno padre Paolo Benanti, esperto di etica, bioetica ed etica della tecnologia, Francesco Spampinato, storico dell’arte contemporanea e Diego Ciulli di Google. Modera Federico Ferrazza, Direttore di Wired Italia.
Ultimo appuntamento giovedì 15 novembre, dal titolo Human Digital Transformation. Disegnare un progetto umano per il XXI secolo. Introdotti da Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI, si confronteranno su questo tema il filosofo Luciano Floridi e il sindacalista Marco Bentivogli. Modera Felicia Pelagalli, Presidente Associazione InnovaFiducia.

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