A Roma, gli spazi del Complesso del Vittoriano – Ala Brasini ospitano, dal 3 ottobre 2018 al 3 febbraio 2019 (prorogata fino al 5 maggio 2019), una mostra dedicata al mito di Andy Warhol, realizzata in occasione del novantesimo anniversario della sua nascita.
Un’esposizione, curata da Matteo Bellenghi, che parte dalle origini artistiche della Pop Art: nel 1962 il genio di Pittsburgh inizia a usare la serigrafia e crea la serie Campbell’s Soup, minestre in scatola che Warhol prende dagli scaffali dei supermercati per consegnarli all’Olimpo dell’arte.
Seguono le serie su Elvis, su Marilyn, sulla Coca-Cola. A colpire Warhol sono quegli oggetti che abbattono il divario tra ricchi e poveri: una Coca-Cola se la può permettere chiunque e, per quanto sia enorme il potere d’acquisto di un milionario, la sua Coca-Cola non sarà più buona di quella di chiunque altro. È in questi anni che comincia a dire che ognuno ha diritto a 15 minuti di celebrità, quella celebrità da cui è ossessionato da sempre e di cui nel percorso espositivo non mancano le testimonianze.
Warhol diventa in quegli anni il centro catalizzatore della cultura newyorchese, frequenta i locali più ambiti del momento, come lo Studio 54 o il Max’s Kansas City dove si fa fotografare, tra gli altri, con Liza Minnelli, Debbie Harry, Paloma Picasso, Truman Capote.
Nel ‘63 si trasferisce a lavorare in uno studio sulla quarantasettesima est, etichettato in breve tempo “Silver Factory”, la fabbrica d’argento, per l’aspetto che Billy Name – fotografo e grande amico di Warhol – riuscì a darne riempiendo i muri di carta stagnola.
Come si evince dalle numerose opere a questo dedicate in mostra, i frequentatori della Factory erano moltissimi: Bob Dylan, Truman Capote, John Lennon, Mick Jagger, Jack Kerouac, Salvador Dalì, Tennessee Williams, Rudolf Nureyev, Montgomery Clift. Chiunque poteva entrare nel magico mondo di Andy Warhol.
I ritratti di alcuni di loro spiccano sulle pareti del Vittoriano, così come le copertine degli album realizzate da Warhol raffiguranti immagini e simboli passati alla storia come la banana di The Velvet Underground & Nico del 1967, i jeans di Sticky Fingers (1971) dei Rolling Stones e molte altre.
Nel 1969 fonda Interview, un magazine interamente dedicato alle celebrità. Dipinge incessantemente nella metà degli anni ’70, usando come base le polaroid scattate dai tanti personaggi che continuano a popolare la Factory: Liz Taylor, Sylvester Stallone, John Wayne, Liza Minnelli, Valentino, Armani, Caroline di Monaco e Michael Jackson.
Sono gli anni ’70 e ’80 a incoronarlo come il più prolifico e noto artista vivente.
Nel pieno della fama e della popolarità, il 22 febbraio del 1987 Warhol muore sotto i ferri di una semplicissima operazione alla cistifellea.
L’esposizione, con le sue oltre 170 opere, vuole riassumere l’incredibile vita di un personaggio che ha cambiato per sempre i connotati non solo del mondo dell’arte ma anche della musica, del cinema e della moda, tracciando un percorso nuovo e originale.
Il percorso espositivo inizia con le principali icone che hanno condizionato il divenire dell’artista: la celebre Campbell’s Soup del 1969 e Ladies and Gentlemen (1975); i ritratti di grandi personaggi – alcuni dei quali mai incontrati – che da figure storiche ha trasformato in icone pop, come Marilyn (1967), Mao (1972) e gli stessi Self portrait. Si prosegue evidenziando e affrontando il tema dei legami con la moda, anche in ambito italiano grazie ai ritratti di Giorgio Armani (1981) e Regina Schrecker (1983).
Ampio e “sonoro” spazio è dedicato ai rapporti con il mondo musicale partendo dai ritratti di Mick Jagger (1977), Rats and Star (1983), Miguel Bosè (1983), Billy Squier (1982) sino alle copertine dei dischi, alcune con intuizioni figurative di intramontabile successo come la celebre “banana sbucciabile” di The Velvet Underground & Nico del 1967 e i mitici “jeans incernierati” di Sticky Fingers dei Rolling Stones del 1971 che si affiancano a numerose altre indimenticate, sempre progettate dall’artista, come Love You Live by Rolling Stones del 1977, Milano Madrid di Miguel Bosè del 1983, Menlove Ave di John Lennon del 1986.
Sono inoltre presenti in mostra le preziose polaroid dell’epoca che rappresentano anche il punto di partenza per la realizzazione dei ritratti serigrafici e i celebri self portrait: Grace Jones (1984), la Principessa Carolina di Monaco (che finì sulla copertina di “Vogue” nel 1984), i ritratti di noti stilisti come Valentino (1973) e cantanti come Paul Anka (1975),
Stevie Wonder (1972) e Carly Simon (1979).
Chiude l’ampia selezione un omaggio al mondo cinematografico celebrato in mostra attraverso i ritratti di Liz (1964), Judy Garland (1985), Silvester Stallone (1980) e Arnold Schwarzenegger (1977).
La mostra Andy Warhol, sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano e con il patrocinio della Regione Lazio e di Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con Eugenio Falcioni & Art Motors srl.
Il catalogo della mostra è edito da Arthemisia Books.