HomeIn primo pianoL'arte dei Macchiaioli in una mostra a Palazzo Blu di Pisa

L’arte dei Macchiaioli in una mostra a Palazzo Blu di Pisa

Telemaco Signorini, Sobborgo di Porta Adriana a Ravenna, 1875, Olio su tela, 58x98 cm, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Telemaco Signorini, Sobborgo di Porta Adriana a Ravenna, 1875, Olio su tela, 58×98 cm, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma

L’intento dei Macchiaioli fu quello di sottrarsi ai dettami delle accademie, di eludere il pittoresco di maniera, la retorica neomedioevale e neorinascimentale dei quadri di storia, per elaborare, attraverso la comune ricerca di un nuovo vocabolario pittorico, un modo più libero e diretto di rappresentare la realtà contemporanea. Calandosi nel presente, privilegiando gli scorci di vita quotidiana, le scene di umile, domestica intimità, a cui un linguaggio scabro, asciutto, giocato su macchie di colore giustapposte, conferiva un’inedita impressione di naturalezza, Fattori e compagni attuarono un profondo rinnovamento nella civiltà figurativa italiana del secondo Ottocento. La loro fu un’autentica rivoluzione dello sguardo, una trasformazione del gusto.

E tuttavia sui Macchiaioli hanno pesato a lungo il duro giudizio di Roberto Longhi (“ebanisti innamorati”, lui li definiva, e “garibaldini in congedo illimitato”) e il confronto canonico con quanto proprio in quegli anni andava accadendo nella Francia degli Impressionisti.

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Oggi le cose sono molto cambiate. La pittura macchiaiola negli ultimi decenni ha conosciuto una giusta riconsiderazione critica, e il movimento nel suo complesso e i suoi esponenti più rappresentativi sono oggetto di un interesse vivo, non occasionale. Ne fanno fede le numerose e importanti rassegne che si sono succedute anche in tempi recenti.

Quella ospitata dall’8 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023 nel Palazzo Blu di Pisa (oltre 120 opere, molte di collezionismo privato) mira a ripercorrere le tappe più significative della stagione della macchia, dai giorni gloriosi del fiorentino Caffè Michelangelo, dove a partire dal 1855 si diede convegno una comunità di giovani pittori di belle speranze, gli stessi che sarebbero presto diventati i protagonisti della nuova scuola, agli anni successivi al 1870, quando il gruppo (che non fu mai, occorre dirlo, un gruppo omogeneo) conobbe la sua dispersione definitiva, anche a seguito della morte prematura di alcuni suoi componenti (Abbati, Sernesi) e del “tradimento” di quanti – Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, D’Ancona, De Tivoli – si trasferirono a Parigi per celebrare, come artisti alla moda, i fasti della Belle Époque.

La curatrice della mostra, Francesca Dini, una delle maggiori esperte del movimento, ha scelto di privilegiare la produzione più propriamente intimista ed elegiaca, attraverso cui la macchia ha messo in atto la sua poetica del vero. Tra le opere esposte, spiccano in particolare le splendide scene di vita familiare di Silvestro Lega (Una visita, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna: un piccolo capolavoro la cui “semplice e geniale scansione compositiva”, scriveva Fernando Mazzocca, “rimanda, in maniera impressionante, all’Angelico”, I fidanzati (I promessi sposi), Milano, Museo della scienza e della tecnica, Educazione al lavoro, Due bambine che fanno le signore, La lezione della nonna, Verona, Galleria Forti, Una madre, Forlì, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì: lavori tardi, gli ultimi due, eppure di livello ancora altissimo); nonché alcuni squisiti esempi di pittura di interni di Odoardo Borrani (Il 26 aprile 1859, Viareggio, Istituto Matteucci, e Cucitrici di camicie rosse, dove la quieta atmosfera domestica è comunque associata al motivo patriottico, e L’analfabeta, che cita argutamente, attraverso l’espediente del quadro nel quadro, un’opera di Telemaco Signorini, Nei dintorni di Firenze, anch’essa in mostra) e di Vincenzo Cabianca (L’abbandonata); nonché il bel Ritratto della figliastra (Firenze, Galleria degli Uffizi) di Giovanni Fattori.

Ma il nucleo centrale del percorso espositivo è costituito dalle opere legate all’indagine del vero naturale, all’intensa pittura di paesaggio di Abbati, Sernesi, Signorini, Fattori, Cabianca, Borrani. Ecco allora i sentieri polverosi, i casolari sparsi, i pascoli e i pagliai della campagna toscana. Ecco le distese marine e le coste dell’alto Tirreno e della Liguria orientale. Uno scenario malinconico, silente, umile (il paesaggismo macchiaiolo seppe dare dignità anche all’umile mondo dei butteri, delle pastorelle, dei bovi…), che una pittura densa di effetti luministici e ariosità atmosferiche ci restituisce nella sua pudica, incontaminata bellezza, utilizzando talora composizioni di dimensioni ridotte e di formato fortemente orizzontale, a mo’ delle predelle dei venerati primitivi del Quattrocento. (Uno spazio a sé occupano nella rassegna alcune spettacolari vedute che si collocano un po’ a margine della sperimentazione macchiaiola: L’Ofantino di Giuseppe De Nittis: un’opera deliziosa nella sua resa lenticolare dei particolari minuti; e Sobborgo di Porta Adriana a Ravenna di Signorini, Roma, Galleria nazionale di arte moderna).

Presenti in mostra anche alcuni celebri quadri di battaglie e soldati: su tutti, due superbe opere di Fattori: In vedetta (Il muro bianco) (Trissino, Fondazione Marzotto) e Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, e una tela di Signorini, L’artiglieria toscana a Montechiaro salutata dai francesi feriti a Solferino: dipinti che, inevitabilmente, richiameranno alla memoria nel cinefilo di lungo corso le atmosfere e i colori del Visconti di Senso e del Gattopardo.

Nicola Rossello

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