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“Parigi, 13Arr.” – Film – Recensione

Locandina del film Parigi, 13Arr.

Jacques Audiard reinventa il proprio cinema. Il regista di Il profeta (2009), Dheepan (2015), I fratelli Sisters (2018), piccoli capolavori intrisi di violenza e di un crudo, esacerbato realismo mascolino, affronta qui i modi, per lui inediti, della commedia romantica. Lo fa partendo da alcune graphic novel di Adrian Tomine, un illustratore americano del “New Yorker” – ma decisivo è stato sicuramente l’apporto, in sede di sceneggiatura, di Céline Sciamma e Léa Mysius, due tra le più talentuose esponenti del nuovissimo cinema francese, a cui si devono di certo il tono di freschezza e aggiornata delicatezza, il giovanile disincanto e l’arguzia e la vicinanza ai personaggi che si respirano nel film.

In Parigi, 13Arr. si percepisce dunque una sensibilità nuova, la stessa attraverso cui Audiard ha inteso dipingere il ritratto di una generazione – quella di una certa gioventù parigina dei nostri giorni – e comporre la radiografia della vita amorosa oggi, al tempo dei social network digitali, filmando le indecisioni, i disagi emotivi, le intermittenze del cuore di un quartetto di anime inquiete, tre giovani donne e un giovane uomo, non più adolescenti, ma per tanti versi ancora confusi e immaturi, variamente disinibiti sul piano delle scelte sessuali (ma la loro frenesia libertina, la fluidità delle loro relazioni effimere non riescono a dissimulare il senso doloroso del vuoto), perennemente alla ricerca di se stessi, di un riconoscimento affettivo che li completi e dia stabilità alle loro esistenze.

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Émilie, Camille, Nora, Amber Sweet (una ex studentessa di Scienze Politiche che vegeta con occupazioni occasionali; un insegnante di francese che si adatta a lavorare in un’agenzia immobiliare in attesa di scrivere la tesi di dottorato; una trentenne che, fuggita dalla provincia e da un passato affliggente, vorrebbe riprendere gli studi universitari, ma è vessata da molestie su rete; una spogliarellista del web dal cuore generoso) si fiutano, si amano, si perdono, si cercano, si ritrovano, tornano ad amarsi, incrociando a più riprese i loro percorsi affettivi e amicali lungo le strade del quartiere multietnico di Olympiades, nel 13° arrondissement di Parigi, un moderno agglomerato di torri residenziali e alloggi sociali, che la magnifica fotografia di Paul Guilhaume ci restituisce in un bianco e nero lussuoso, memore di Manhattan di Woody Allen.

Ma il riferimento stilistico più immediato e impegnativo di Parigi, 13Arr. è Rohmer: il Rohmer dei Racconti morali e delle riflessioni sul discorso amoroso (così come al regista di La fornaia di Monceau rimanda la precisa organizzazione dello spazio geografico entro cui i personaggi si muovono). Sennonché la capricciosa giostra affettiva messa in campo da Audiard, volendo dare un sentore di modernità al desiderio contemporaneo, s’impone un aggiornamento radicale e viene a essere imbastita non già sul potere di fascinazione della parola (parola che sempre regnava sovrana nel cinema di Rohmer), ma sul rapporto carnale, percepito dai protagonisti di Parigi, 13Arr. come indispensabile preliminare alla nascita di una relazione amorosa.

Nicola Rossello

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