
“Adoro le forme statiche… non le mobili immagini della passione”
(Felice Casorati)
È la Torino degli anni Venti di Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Lionello Venturi, Riccardo Gualino, Giacomo Debenedetti, Alfredo Casella, Massimo Mila, la città appartata e tuttavia viva e vitale, aperta alle più significative esperienze della cultura contemporanea, quella in cui Felice Casorati (1883-1963) trova se stesso e giunge alla compiutezza del suo stile.
La stagione è quella del “ritorno all’ordine”, del ripudio delle destabilizzanti sperimentazioni delle avanguardie a favore della ricerca di moduli compositivi di tono “neoclassico”. I maggiori maestri italiani si raccolgono intorno alla rivista “Valori Plastici” o al gruppo Novecento, sostenuto da Margherita Sarfatti. Si riscopre l’eloquenza dell’antico, la grande tradizione figurativa italiana, in particolare quella del primo Rinascimento. Si respira il clima del “Realismo magico”.
Casorati giunge a Torino nell’ottobre del 1918, dopo la tragica morte del padre, e già nei suoi lavori del 1919 e dei primi anni Venti si avverte una netta discontinuità rispetto alla fase iniziale del suo percorso artistico (prima della guerra, Casorati aveva partecipato a più riprese e con buon successo alle esposizioni della Biennale di Venezia e di Ca’ Pesaro). Accantonate le precedenti esperienze tardoveriste e simboliste, dove si potevano cogliere compiaciuti richiami all’estetismo decorativo della Secessione viennese (Ritratto della sorella Elvira, 1907, Le ereditiere, 1910, Persone, 1910, Le signorine, 1912, La Via Lattea, 1914), nei migliori risultati del primo periodo torinese (L’attesa, 1919, Ragazza con scodella, 1919, Ritratto di Maria Anna De Lisi, 1919, L’uomo delle botti, 1919-20, Mattino, 1919-20) emerge la ricerca di un severo, calcolatissimo equilibrio di forme e spazi in cui è agevole avvertire un’eco delle contemporanee composizioni metafisiche di De Chirico, Carrà, Savinio. Le figure ritratte in queste grandi tempere siedono tutte silenziose e assorte entro spogli interni domestici. Il loro sguardo è immobile, perso nel vuoto. Sono immagini che ci trasmettono un senso di solitudine, di muta rassegnazione.
A questi dipinti seguiranno, a poca distanza di tempo, i capolavori “neoclassici” che faranno di Casorati uno dei massimi protagonisti della scena artistica del Novecento. La serie dei grandi ritratti, innanzi tutto: quello, ormai famosissimo, di Silvana Cenni, 1922, un’opera enigmatica, in cui il personaggio effigiato (un personaggio di pura invenzione, è bene rammentarlo), ripreso in posa frontale, presenta la fissità algida e solenne, ieratica, di un idolo pagano (si è parlato di suggestioni neoquattrocentesche, di richiami a modelli pierfrancescani); e poi quello, intensissimo, di Raja, 1924-25, chiusa nel suo assorto, malinconico riserbo; il Ritratto di Hena Rigotti, 1924, a braccia conserte, con al fianco una splendida natura morta; quello di un giovanissimo Renato Gualino, 1923-24, lui pure raffigurato in posa frontale; quelli, anch’essi assai intensi, del padre Riccardo Gualino e della madre Cesarina Gurgo Salice (la rassegna si sofferma sui rapporti che Casorati ebbe con questi ultimi, in particolare sulla realizzazione del teatrino privato di via Galliari, dove Cesarina si esibiva come danzatrice); il Duplice ritratto, 1924; il Ritratto del Maestro Alfredo Casella, 1926…
Accanto ai ritratti, alcuni maestosi gruppi di figure, due su tutti: Meriggio, 1923, e Conversazione platonica, 1925: composizioni strepitose, in cui sensuali nudi femminili di squisito nitore plastico sono calati in scenari immobili e silenti, su cui aleggia un’atmosfera di rarefatta, magica sospensione.
Gli anni Venti restano, fuori di dubbio, il periodo più felice e intenso della storia personale di Casorati, quello in cui l’artista ha raggiunto i suoi esiti più alti. Ma Giorgina Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli, curatori della rassegna attualmente in corso a Milano a Palazzo Reale (visitabile fino al 29 giugno 2025), hanno inteso offrire, attraverso un centinaio di opere, una rilettura complessiva dell’itinerario creativo del maestro piemontese. La mostra, pertanto, dà anche conto della svolta anticlassicista che già alla fine del terzo decennio del secolo Casorati impresse al proprio percorso di ricerca, nonché dei mutamenti avvenuti nell’ultima fase della sua produzione pittorica. In dipinti come Ritratto di fanciulla, 1930, Donne in barca, 1933, Daphne a Pavarolo, 1934, o Le sorelle Pontorno, 1937, si respira un’allure più naturale, una più quieta e distesa intimità domestica. I nudi femminili sono ora privi della sontuosa, carnale sensualità dei lavori del passato. Il denso erotismo alla Ingres si è come sfibrato, sopito. «L’artista sente l’esigenza di rendere meno idealizzate le forme delle sue figure, anche attraverso la forza espressiva delle deformazioni, fino al limite dell'”antigrazioso”» (Francesco Poli). Sui personaggi cala una malinconia stanca, crepuscolare. La tavolozza tende a ridursi e a rinunciare alle tinte più vibranti e cristalline.
Accanto alla pittura di figura, Casorati ha praticato negli anni anche quella di paesaggio e, soprattutto nel secondo dopoguerra, la natura morta. Le sue studiate composizioni di uova, di scodelle vuote, di maschere, si caricano sovente di una tensione raggelata, quasi metafisica (in mostra spiccano Le uova sul cassettone, 1920, che a suo tempo suscitarono l’entusiasmo di Gobetti e Venturi, Ospedale, 1927, e Natura morta con l’elmo, 1947). Il tema delle uova in particolare, la cui “forma perfetta e fragile consistenza” permette “all’artista una riflessione sul contrasto tra la precarietà e la solidità formale” (Giovanni Cardone), diventerà un motivo insistito dell’iconografia di Casorati, sì da arrivare a essere considerato quasi l’emblema, la sigla riassuntiva dell’arte del maestro.
Nicola Rossello