Filippo Parodi (1630-1702) è stato il massimo esponente della scultura genovese del Seicento. Oltre che nella città natale, dove lavori suoi di grande respiro sono conservati nelle chiese (in San Luca, in Santa Maria Assunta di Carignano, in Santa Marta, in San Pancrazio…) e nelle dimore delle più eminenti famiglie gentilizie (i Doria, i Durazzo, gli Spinola, i Brignole, i Balbi, i Sauli, i Raggi…), fu impegnato in commissioni di alto prestigio anche in Veneto, a Venezia e a Padova in particolare.
Decisiva la sua esperienza romana che gli permise di confrontarsi da vicino con le realizzazioni di Gian Lorenzo Bernini e di assimilarne il forte impatto drammatico e teatrale (ma Parodi fu altresì attento osservatore delle coeve ricerche di Alessandro Algardi e François Duquesney). Tornato a Genova, dove la scena artistica, nell’ambito della statuaria, era dominata in quegli anni da Pierre Puget, Parodi visse per qualche tempo all’ombra di quest’ultimo. Fu solo dopo il ritorno in patria del maestro francese, avvenuta nel 1668, che, in una città ormai votata a pieno alla cultura del Barocco, Parodi raggiunse l’apice del successo, divenendo il punto di riferimento per gli artisti della nuova generazione.
Formatosi in un primo tempo come intagliatore (realizzò cornici, consolle, statue lignee, arredi in uno stile preziosamente inventivo), Parodi si impegnò in seguito nella più nobile e prestigiosa produzione in marmo. Una produzione segnata da un dinamismo e da un’intensità espressiva di pieno sapore barocco, in cui il gusto decorativo non è esente da un uso pittorico della materia (Parodi ebbe stretti rapporti di collaborazione con i più grandi frescanti della scuola genovese del tempo, Domenico Piola e Gregorio De Ferrari, a riprova di una comune sensibilità artistica).
In questi giorni il suo Cristo alla colonna, una statua in marmo bianco di Carrara, eseguita nel 1680 circa su commissione di Eugenio Durazzo e destinata alla devozione privata, è posta a diretto confronto con il relativo bozzetto in terracotta, oggi di proprietà di una galleria antiquaria londinese. L’allestimento, con la curatela di Luca Leoncini e Anna Manzitti, è ospitato sino al 29 giugno 2025 al Palazzo Reale di Genova, dove pure è conservata, nella Galleria degli specchi, la splendida serie di statue che Parodi realizzò ispirandosi alle Metamorfosi di Ovidio: Clizia, Giacinto, Venere, Adone.
La luminosa figura del Cristo nudo, legato a una colonna e sfinito dalle sofferenze patite, con la testa rovesciata all’indietro e la bocca socchiusa, è una figura di straordinario impatto drammatico. La forte accentuazione patetica della composizione convive al tempo stesso con la raffinata tecnica esecutiva nella resa del volto, quasi che l’artista, attraverso la morbidezza e la delicatezza del viso e la levigatezza delle carni, di un biancore brillante, abbia inteso depurare il soggetto da ogni crudezza ed enfasi naturalistica (si pensi, per contro, allo sconvolgente Cristo deposto, realizzato nel 1681 in collaborazione con Domenico Piola per la chiesa di San Luca). Come ha fatto notare Leoncini, qui “lo scultore genovese non propone un’immagine realistica del Cristo, col volto grondante sangue, come si trova solitamente nelle contemporanee rappresentazioni di questo tema”. L’immagine “teatrale” (di un teatro sacro e barocco, beninteso) si ricompone nella superiore armonia ed eleganza del modellato.
Nicola Rossello