
Le immagini più intense e potenti sugli anni drammatici della Grande Depressione americana restano fuori dubbio quelle di Furore, il capolavoro che John Ford trasse nel 1940 dal romanzo omonimo di John Steinbeck. A firmare la fotografia “espressionista” di quella pellicola c’era Gregg Toland, il quale ammise di essersi ispirato, per comporre le inquadrature del film, ai reportage che Dorothea Lange aveva realizzato nella seconda metà degli anni Trenta, allorché l’agenzia governativa Form Security Administration l’aveva incaricata di documentare le miserevoli condizioni di vita dei contadini delle Grandi Pianure costretti ad abbandonare le loro terre, che la siccità e le continue tempeste di sabbia e polvere nera avevano reso improduttive, e a cercare lavoro nelle piantagioni della California.
Nata nel 1895 nel New Jersey da una famiglia di immigrati tedeschi, la Lange aveva studiato fotografia a New York per poi trasferirsi a San Francisco, dove aveva aperto un proprio studio. Il crollo di Wall Street nel 1929 e la scoperta della miseria in cui era precipitata larga parte della popolazione del Paese, la indussero a rinunciare a una ben avviata carriera di ritrattista per dedicarsi in toto a una fotografia di documentazione sociale che raccontasse la tragica realtà del suo tempo. Decisivo fu per lei l’incontro con l’economista agrario Paul Schuster Taylor, che diventerà il suo secondo marito. Insieme a lui dal 1935 al 1939 la Lange viaggerà in lungo e in largo nelle aree rurali del Paese, quelle che erano state maggiormente colpite dalla crisi economica, fotografando le condizioni delle fasce più povere della popolazione: i disoccupati, i senzatetto, gli hobo.
Walter Guadagnini e Monica Poggi, i curatori della rassegna in corso sino al 19 ottobre 2025 al Museo Diocesano di Milano, hanno deciso di concentrarsi principalmente sulla produzione della Lange di quegli anni. (Ma la prima sezione della mostra allinea una selezione di scatti – Raduno di strada, 1936, Scena lungo il quartiere di Skid Row, 1937… – con cui l’artista affronta gli ambienti urbani, scatti che, con il loro sobrio e rigoroso bianco e nero, già prefigurano i lavori del periodo maturo).
Tra le foto esposte a Milano non poteva mancare la celeberrima Madre migrante del 1936, un’immagine divenuta ormai iconica, che è entrata a pieno titolo nella storia della fotografia. Ritrae una donna ancora giovane, ma dai tratti del volto scavati, logorati dalla sofferenza, accampata assieme ai suoi bambini in un campo di raccolta della California. I suoi occhi rivelano un dolore profondo, lo smarrimento di chi, dopo aver a lungo lottato, sembra prossimo ormai a cedere alla disperazione.
Nella Madre migrante (qualcuno è arrivato a definirla una moderna Madonna con Bambino), così come in altri scatti di quegli anni (Tempesta di polvere, 1935, Casa di un cliente del progetto di riabilitazione rurale, 1936, Piccola abitante di Shocktown, 1936, Sorvegliante di una piantagione, 1936, In direzione di Los Angeles, 1937, La poltrona del direttore postale, 1937, Teatro a Leland, 1937, Bambina migrante malata, 1939, Raccoglitore migrante di cotone, 1940…), o ancora nei reportage che denunciavano lo sfruttamento dei lavoratori neri nelle piantagioni (Negozio di campagna su strada sterrata, 1939), i volti e i luoghi della miseria sono restituiti attraverso uno sguardo fotografico umanista: attento, sincero, sensibile, partecipato.
La mostra dà anche conto dei lavori che la Lange realizzò nei decenni successivi: in particolare, il ciclo sui campi di prigionia in cui, dopo Pearl Harbor, vennero internate le famiglie americane di origine giapponese considerate un potenziale pericolo per il Paese (La giovane evacuata Kimiko Kitagaki sorveglia i bagagli, 1942, Un grande cartello con la scritta “Sono americano”, 1942…). Anche in questi scatti lucidi, asciutti, incisivi, dotati di una forte densità narrativa, l’attenzione al dato sociale non esclude la vicinanza umana, la partecipata passione della fotografa verso le persone ritratte. Sono immagini, anche queste, sempre rispettose, che non scadono mai nel pietismo, nella commiserazione untuosa.
Dorothea Lange muore a San Francisco nel 1965. Pochi mesi dopo una grande mostra al MoMA di New York ne consacrerà la fama.
Nicola Rossello