La Società Economica di Chiavari ospita sino al 28 settembre 2025 nelle sue sale di via Ravaschieri la mostra “Un museo alla moda”, dedicata al rapporto moda/pittura, e lo fa allineando una ventina di dipinti della propria collezione: ritratti di esponenti della buona società locale, realizzati tutti tra la fine del Settecento e i primi decenni del secolo scorso. Un arco di tempo entro il quale il genere vive un periodo interlocutorio, venendo a essere praticato con sempre minore convinzione e assiduità rispetto ai secoli precedenti. Una disaffezione dovuta alla “concorrenza” della fotografia, ma anche e soprattutto, come fa acutamente notare Andrea Lavaggi, che assieme a Lia Gnecco e Miriam Badalotti ha ordinato l’esposizione, al carattere in un certo modo costrittivo del ritratto ufficiale, il quale, condizionato com’era da vincoli di impostazione e di resa dettati dalla committenza, mal si prestava a liberare gli estri immaginativi “romantici” dell’artista (come avverrà invece in seguito con le avanguardie pittoriche del Novecento).
A tutta prima, dalle opere esposte in mostra di autori noti e meno noti, liguri o comunque attivi in Liguria (diversi comunque sono i quadri di ancora ignota attribuzione), non sembra di avvertire una radicale forza di rinnovamento che registri il succedersi, in quei decenni, dei diversi indirizzi artistici (in quel lasso di tempo, dal linguaggio rococò, passando per l’esperienza del Neoclassicismo e del Romanticismo, si giunge al lessico tardonaturalista). L’impostazione prevalente nella ritrattistica mantiene uno schema consolidato: composizione a mezza figura, posa tradizionale di tre quarti (quello di Stefano Rivarola, eseguito da Michele Dinegro, è l’unico ritratto di profilo presente in rassegna), sguardo dell’effigiato rivolto verso il riguardante.
Di fatto, il divenire storico provocherà inevitabili mutamenti nello stile pittorico. Nelle tele risalenti agli anni dell’Ancien Régime e ancora influenzate dalla cultura rococò (vedi, in mostra, Domenico Gonzales di autore ignoto) l’abbigliamento assai ricercato, legato ancora alla moda francese, mira a ribadire il prestigio del personaggio raffigurato, la sua appartenenza a un’elevata condizione sociale. Lo scenario “teatrale” che incornicia la figura prevede l’inserimento di elementi architettonici, drappeggi, scorci paesistici. Le pose hanno un che di disinvolto e di informale. La tavolozza cromatica indugia su briose tinte pastello.
Dopo la Rivoluzione francese il clima cambia sensibilmente e la moda si adegua ai tempi nuovi. Niente più parrucche per gli uomini. Messi da parte le trine e i merletti, le stoffe preziose che guarnivano le mise delle damine del Settecento. Ora nelle figure maschili predominano le giacche scure, di taglio severo, e i comodi panciotti (Costa Zenoglio di autore ignoto). Ora nell’abbigliamento femminile s’impone un’eleganza più sobria, più discreta (Marianna Garibaldi di Francesco Chiarella).
Anche nel ritratto si fa strada un modello compositivo più austero. Il personaggio ritratto – ai tradizionali rappresentanti della nobiltà e del clero si affiancano a questo punto gli esponenti della nuova classe borghese in ascesa –, delineato sulla tela senza alcuna idealizzazione, emerge in genere da una parete di fondo di colore uniforme, così da porre in risalto la figura e far convergere l’attenzione dello spettatore sull’espressione del volto. Le pose acquistano una compostezza impettita, “fotografica”. L’assenza di violenti scarti cromatici conferisce a queste composizioni un tono serio, grave, solenne.
Finché tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo successivo si ritorna a una gamma cromatica più varia e brillante, e ad ambientazioni definite con una certa cura, capaci di calare l’effigiato in una dimensione domestica, pacata, rassicurante. Si pensi al bel Ritratto di Ada di Alberto Salietti, un’opera di fresca e affabile carica espressiva, di cui si è avuto modo di parlare in questa sede già in altre occasioni, o al Ritratto del padre di Giacinto Galbiati, in cui emerge una libertà di tratto tutta novecentesca.
Nicola Rossello





