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Andrea Appiani in mostra a Palazzo Reale di Milano

Andrea Appiani, Giunone assistita dalle Grazie (Toeletta di Giunone), 1810-1812 circa, olio su tela, 100 x 142 cm, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, Courtesy Fondazione Brescia Musei © Archivio Fotografico Musei Civici di Brescia-Fotostudio Rapuzzi
Andrea Appiani, Giunone assistita dalle Grazie (Toeletta di Giunone), 1810-1812 circa, olio su tela, 100 x 142 cm, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, Courtesy Fondazione Brescia Musei © Archivio Fotografico Musei Civici di Brescia-Fotostudio Rapuzzi

Tra la fine del Settecento e i primi decenni del secolo successivo Milano si mostrava al visitatore straniero come una città dinamica, aperta agli apporti delle più avanzate correnti culturali europee. Qui aveva trovato pieno sviluppo la riforma classicista del linguaggio artistico propugnata da Winckelmann. Un fenomeno di enorme portata, incoraggiato a spada tratta da Napoleone, anche attraverso i grandi cantieri che interessarono in quegli anni la città meneghina.

Ed è a Milano che, sostenuto attivamente dall’amicizia e dall’apprezzamento di intellettuali, letterati e artisti di chiara fama, partecipi tutti del nuovo credo classicista (Parini, Piermarini, Monti, Foscolo), Andrea Appiani divenne l’interprete di gran lunga più eminente della pittura neoclassica italiana.

Come attesta l’ampia e coinvolgente rassegna “Appiani. Il Neoclassicismo a Milano”, in corso sino all’ 11 gennaio 2026 a Palazzo Reale (curatori Fernando Mazzocca, Francesco Leone e Domenico Piraina), Appiani fu un artista di schietta formazione lombarda (nella sua produzione giovanile si possono ravvisare echi della pittura di Luini e dei maestri del primo rinascimento padano). Di lui si conosce un’unica trasferta a Roma, dove ebbe modo di lasciarsi incantare dai capolavori di Raffaello e di studiare da vicino i dipinti di Mengs, in quegli anni osannato come l’indiscusso capofila del classicismo cosmopolita. Per il resto, Appiani visse e operò sempre a Milano e dintorni.

Nato nel 1754, fin dagli anni Settanta ebbe modo di esibire il proprio talento. Fu scenografo e costumista per la Scala. Lavorò per chiese (ad Arona, Roncate, Oggiono, a Milano a Santa Maria presso San Celso…) e dimore nobiliari (Palazzo Greppi, Palazzo Diotti…), ma soprattutto decorò la Rotonda della Villa Reale di Monza, dove dipinse il suo primo grande ciclo di affreschi: quello delle Storie di Amore e Psiche, legato ancora a ritmi, eleganze e colorismi di marca settecentesca. Un’impronta carraccesca si può cogliere invece in due importanti gruppi di dipinti realizzati nel penultimo decennio del secolo: le Storie di Europa e le Storie di Venere, nonché in alcuni paesaggi, sempre di quegli anni, in cui il tema mitologico resta secondario: Marte e Venere, Diana e Atteone.

L’arrivo di Bonaparte a Milano nel maggio del 1796 segna una svolta decisiva nel percorso artistico e nella fortuna del maestro. Napoleone, che vedeva nell’arte uno strumento di propaganda ideologica e di celebrazione del regime, affida ad Appiani una serie di commissioni pubbliche di notevole prestigio, mirando a fare di lui il proprio iconografo ufficiale, un pittore cesareo.

Il rigorismo formale del nuovo stile neoclassico, già avvertibile nell’attività prenapoleonica di Appiani, trova la sua più alta applicazione negli affreschi e nei ritratti che egli esegue all’inizio dell’Ottocento.

L’impresa di maggior richiamo è sicuramente il ciclo dei Fasti napoleonici eseguito per la sala delle Cariatidi di Palazzo Reale: un superbo fregio a monocromo andato perduto per i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ispirato all’ode A Bonaparte liberatore di Foscolo, celebrava in 36 episodi le gesta militari e politiche di Napoleone. Le incisioni che ne vennero tratte, così come altri lavori realizzati anch’essi per Palazzo Reale che si sono miracolosamente salvati dalla distruzione (le Virtù cardinali, l’Apoteosi di Napoleone, dove l’imperatore è raffigurato sul trono come una divinità greca), ci parlano di un’opera monumentale, in cui convivevano personaggi mitologici e cronaca contemporanea, un tono magniloquente, eroico, teatrale, e un’ammirevole densità narrativa.

Accenti meno altisonanti e ritmi più pacati si colgono in altri suoi affreschi e tele a soggetto mitologico. La toeletta di Giunone è l’unico dipinto compiuto della serie dedicata alle Storie di Giunone e Giove destinata a celebrare le nozze tra l’imperatore e Maria Luisa d’Austria. La dea è assistita dalle tre Grazie (motivo iconografico inusuale: le Grazie, in genere, sono collegate a Venere). Sulla sinistra Eros agita un drappo. È una tela che unisce all’originalità e al rigore compositivo un colorismo delicato e raffinato. È stata scelta come immagine guida della rassegna. Altri dipinti, a tema mitologico (Venere allaccia il cinto a Giunone, Aurora e Cefalo, Ratto di Proserpina) o religioso (Elisabetta d’Ungheria soccorre i bisognosi) esibiscono uno stile severo, dove la ricerca di un cromatismo morbido, sinuoso è anteposta alla cura della linea dei contorni, che era propria, invece, della scuola classicista romana.

Ma se attraverso i grandi cicli decorativi e le favole mitologiche Appiani ebbe modo di conseguire onori e titoli (nel 1805 egli fu nominato premier peintre del re), è nella straordinaria serie dei suoi ritratti (a cui la mostra assegna un’ampia sezione) che andranno forse individuati i massimi raggiungimenti dell’artista e dell’intera ritrattistica europea del primo Ottocento. Sono dipinti in cui, muovendosi all’interno della grande tradizione classicista di Mengs, David e Ingres, Appiani riesce a conciliare le esigenze celebrative e mondane del ritratto d’apparato e la volontà di restituire la fisionomia viva e individuale delle figure effigiate. I volti femminili, in particolare, conservano una grazia silenziosa, una vivezza, una morbidezza di modellato che li rende indimenticabili (la cantante Giuseppina Grassini, raffigurata mentre suona la lira con espressione assorta; la principessa di Belgioioso, ripresa essa pure di tre quarti, lo sguardo intenso e curioso rivolto verso noi spettatori; Hortense de Beauharnais, raffigurata come artista…). Allo stesso modo, i ritratti dei protagonisti della politica e della cultura di quegli anni compongono una galleria di immagini di grande impatto: Napoleone, che Appiani ritrasse a più riprese, come presidente della Repubblica italiana e poi come re d’Italia. La posa e i tratti del volto fortemente idealizzato rispondono ai dettami dei ritratti ufficiali. Alessandro Trivulzio, all’epoca Ministro della Guerra, è raffigurato in divisa militare, lo sguardo fiero, di chi è consapevole del proprio ruolo. Sullo sfondo, nella parte sinistra del quadro, un gruppo di soldati a cavallo. E poi ancora il generale Desaix, il principe Eugenio, Francesco Melzi, Achille Fontanelli, Vincenzo Monti, Luigi Sabatelli…

Sono composizioni in cui la nuova aristocrazia sorta con il regime bonapartista imparava a riconoscersi. Presto sarebbe venuta a imporsi una ritrattistica diversa, la stessa che avrebbe celebrato la borghesia in ascesa: la ritrattistica di Hayez e di Molteni.

Nicola Rossello

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