HomeIn primo piano"Pellizza da Volpedo. I capolavori", mostra alla GAM di Milano

“Pellizza da Volpedo. I capolavori”, mostra alla GAM di Milano

Pellizza da Volpedo, Quarto Stato - Foto di Luca Rossello
Pellizza da Volpedo, Quarto Stato – Foto di Luca Rossello

La retrospettiva della GAM di Milano (visitabile sino al 25 gennaio 2026; curatrici del progetto Aurora Scotti e Paola Zatti) ripercorre le tappe della carriera di Pellizza da Volpedo, dando conto dell’evoluzione del suo linguaggio pittorico dalle prime prove di impronta verista ai dipinti della piena maturità realizzati con la tecnica del Divisionismo.

Il fulcro del percorso espositivo è riservato naturalmente al Quarto Stato, 1901, ovvero al capolavoro più conosciuto e celebrato di Pellizza, il quadro italiano di epoca moderna più generalmente noto al grande pubblico (insieme al Bacio di Hayez).

Affiancata in mostra da una serie di bozzetti preparatori, studi, schizzi, disegni finiti di singole figure e dettagli, la grandiosa tela rappresenta una folla compatta di lavoratori in marcia. Alla testa del corteo, emergono dalla massa tre figure dalla vigorosa plasticità: “bellissimo il gruppo serpentinato della donna col bambino” (Rossana Bossaglia). La dimensione monumentale, epica del dipinto, dove si possono ravvisare richiami ai maestri del Rinascimento italiano, in primis il Raffaello della Scuola di Atene, è accentuata dal forte contrasto tra la zona oscura in alto, nella cui penombra si intravedono brani di vegetazione, e quella in basso, investita da una luce chiara, intensa, quasi accecante: è la luce simbolica del sol dell’avvenire che illumina la fiumana del proletariato che procede fiera e decisa verso l’osservatore, vincendo le tenebre dell’indigenza e dello sfruttamento.

Sin da subito il Quarto Stato suscitò un grandissimo interesse e venne salutato come un’immagine manifesto intesa a celebrare l’avanzata fatale, irrefrenabile del popolo dei lavoratori verso un futuro radioso, di emancipazione sociale. Pellizza mise qui pienamente a frutto – in un’opera ambiziosa, la cui gestazione lunga e tormentata lo impegnò per oltre dieci anni – quelle sperimentazioni divisionistiche che gli consentivano di rivestire un certo tipo di realismo sociale di valenze simboliche di immediata lettura.

A Milano, nella prima sezione della mostra, sono presenti lavori della fase giovanile del pittore, legati ancora all’eloquio tardorealista di Fattori e Tallone, i maestri con cui Pellizza consumò il proprio apprendistato. Spiccano in particolare le figure e i ritratti: su tutti, Ricordo di un dolore, 1889, un’immagine di rara intensità, dai raffinati accordi di colore (si noti il fiore seccato tra le pagine del libro che provoca nella giovane donna il riemergere di un ricordo doloroso), e Il mediatore, 1891, una figura che pare appena uscita da un racconto di Verga o di Fucini. Di alcuni anni più tardi (del 1898-1899) è lo splendido Autoritratto oggi agli Uffizi, dove l’artista si rappresenta come un uomo elegante e sicuro di sé, un uomo di cultura (i libri alle sue spalle; ma si notino anche l’edera e il teschio a simboleggiare la vita e la morte).

Di fatto, il Pellizza qualitativamente più alto resta quello che, a partire dal 1893, sull’esempio di Segantini e Previati, che lo precedono di qualche anno, decide di rinnovare la propria tecnica pittorica, adottando una pennellata a sottilissimi trattini, filamenti, tacche e piccoli punti di colore puro, tali da dare alle sue composizioni inedite vibrazioni luminose. Una tecnica che gli permetteva di dare respiro ai temi di contenuto sociale e umanitario che gli erano assai cari.

Il suo primo grande dipinto a divisione, Sul fienile, 1893, un ardito esercizio di controluce, descrive l’agonia di un anziano operaio rurale. Intorno al moribondo, vi è il prete che gli somministra il viatico, due chierichetti e una figura femminile, inginocchiata. È una tela in cui la pennellata divisa, a fili sottili, puntini e lineette di diverso spessore, valorizza il contrasto simbolico tra la luce (la campagna assolata in cui la vita continua) e l’oscurità (l’interno in penombra del fienile dove domina la morte).

Una composizione giocata su una luminosità più diffusa e uniforme è Speranze deluse, 1894. Qui una giovane pastorella è colta su un prato, accanto ai suoi animali, in un atteggiamento di doloroso sconforto. Una pecora che le è al fianco sembra quasi volerla consolare. Alle loro spalle, alberi dall’aspetto spettrale sollevano i rami nudi verso il cielo. Sullo sfondo sfila un corteo nuziale: è il matrimonio dell’uomo amato che ha scelto di sposare un’altra. È un’immagine carica di malinconia profonda, crepuscolare.

In taluni casi l’idealismo umanitario e sentimentale di Pellizza si carica di intonazioni di matrice simbolista in linea con l’orientamento di certa cultura figurativa allora in auge. Ne Lo specchio della vita, 1898, l’immagine delle pecorelle che procedono in fila costeggiando un corso d’acqua rimanda ai celebri versi danteschi del Purgatorio (una dichiarata derivazione letteraria che fa il paio con analoghi esempi di pittura preraffaellita), venendo ad alludere alla legge inesorabile che governa l’esistenza umana (si noti la finta cornice dipinta sulla tela). La serie L’amore nella vita, 1901-1905, un gruppo di dipinti che illustra le varie tappe e modalità del sentimento amoroso, testimonia della volontà dell’artista di misurarsi con tematiche di carattere universale (la vita, l’amore, la morte). Nel pannello centrale Pellizza adotta il tondo, una soluzione arcaizzante già sperimentata con Idillio primaverile, 1901, e Passeggiata amorosa, 1901-1902.

La stagione finale di Pellizza è caratterizzata dal rinnovato interesse per il paesaggio puro, non subordinato alle figure umane. Ne La neve, 1906, l’orizzonte altissimo (si intravede a stento un lembo di cielo oltre la linea delle colline) e il biancore accecante sembrano suggerire una dimensione di tempo sospeso (viene in mente Nevicata di Carducci). Sullo sfondo si distingue appena una figuretta femminile che arranca faticosamente lungo il sentiero innevato. In questa tela, così come in altri paesaggi agresti e vedute di paese realizzati en plein air, si può cogliere una vicinanza con le ricerche di Fontanesi e dei maestri della scuola di Barbizon. Il ponte, 1904, Il sole, 1904, Paesaggio presso il prato Pissone, 1904, Paesaggio a Villa Borghese, 1906, sono composizioni dai toni vibranti, in cui si fa strada una vena di sottile mestizia; dipinti, spesso giocati su potenti effetti di controluce, che arrivano a dar voce alle situazioni emotive suscitate dalla natura.

Membra stanche, 1907, è l’ultimo straordinario quadro di Pellizza, rimasto inconcluso. La scena è ambientata nella valle del Curone, uno scenario rurale restituito attraverso stesure cromatiche incandescenti. Una famigliola di braccianti stagionali (Famiglia di emigranti è l’altro titolo dell’opera) è colta in un momento di riposo. I profili delle montagne che chiudono l’orizzonte sono un omaggio a Segantini, laddove la giovane donna sulla sinistra, seduta di profilo, conserva l’espressione assorta, quasi attonita, di una figura di Seurat. È una composizione assai forte, in cui si coglie appieno l’empatia dell’artista verso quegli “immobili simboli del dolore, dell’amore, della vita e del lavoro” (Aurora Scotti).

Nicola Rossello

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