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Giuseppe Toscano veste la donna di nuova poesia

Opera di Giuseppe ToscanoDonne “contaminate” che urlano riscatto, donne annichilite dai media. Donne che Giuseppe Toscano vuole liberare vestendole “di nuova poesia”.
L’artista, nato nella provincia di Napoli, attraverso l’uso di una tecnica affascinante che prevede anche l’utilizzo del fuoco, quasi a purificare l’immagine femminile, ha appena proposto i suoi ultimi lavori in Ri-Contaminazione, mostra esposta a Roma, nella sala Egon Von Fustenberg di Palazzo Valentini e conclusa pochi giorni fa. Una nuova evoluzione del suo percorso artistico, in cui “rincontamina” il modello femminile proposto nella società della perfezione di autenticità.

– Toscano, cosa chiedono le donne oggetto della sua ricerca artistica?

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«Una nuova dignità all’immagine femminile. La donna è ricorrente nelle mie opere, il mio sguardo inizialmente era rivolto ai modelli che la televisione e il cinema trasmettono come standard di bellezza e di perfezione: una bellezza costruita in modo artificiale, con la tecnologia digitale o la chirurgia estetica, ben lontani da quella reale e autentica, che io definisco poesia metropolitana. Il mio lavoro ha subito una evoluzione negli anni, con Ri-Contaminazione, la più recente serie di opere che ho prodotto, mi sono riavvicinato alla persone e alle donne comuni».

– Perché Ri-contaminazione?

«Tutti siamo contaminati, contagiati da un bombardamento di messaggi  mediatici, con la pubblicità in primis, futili e vacui. La ricontaminazione avviene quando le immagini, che veicolano questi messaggi, assumono un significato diverso: perdono quella che in principio era la loro funzione mediatica e si vestono di una nuova poesia, lasciando al fruitore una lettura rinnovata, senza più vincoli pubblicitari. Il volto della modella che ritraggo non è più perfetto come la società dei consumi vorrebbe, ma acquisita toni e caratteristiche comunicative autonome, con una nuova dignità, più vicine alla donna comune».

– Per realizzare le sue opere utilizza una tecnica molto elaborata che si ispira ai metodi degli antichi romani….

«Ho impiegato quasi 12 anni per perfezionare la mia tecnica, che consiste in una rivisitazione “evoluta” del solvent-transer “a strappo”. Restava però il problema di fissare nel tempo il mio lavoro e renderlo tangibile, per questo per raggiungere il risultato che volevo niente mi è sembrato migliore dell’encausto. Usato dagli antichi romani per fissare il colore, che veniva sciolto nella cera, l’encausto è un momento magico da cui dipende la riuscita finale dell’opera. Mi avvalgo anche del fuoco vivo perché riesce a dare al quadro un effetto davvero speciale, unico».

– Una tecnica molto lunga…

«Sì, può essere molto lunga la realizzazione del quadro, ma per me non finisce mai. Non considero mai finita un’opera, potrei continuare a lavorarci fino alla distruzione della stessa. La mia è una specie di performance che potrebbe durare in eterno».

Cristiana Ciccolini

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