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Roger Peyrefitte a cento anni dalla nascita

Roger PeyrefitteQuando nei primi anni sessanta lessi Les amitiés particulières (Prix Théophraste-Renaudot 1945) capii che si trattava di uno di quei libri che avrebbero destinato il suo autore all’immortalità, come Madame Bovary per Gustave Flaubert. Un libro sicuramente definibile lirico, perché in esso Peyrefitte parla del dramma dell’adolescenza in un collegio e, più precisamente, di quello stadio di incertezza per dove si passa dall’infanzia all’adolescenza, con una precisione degna di uno Stendhal e con la gravità e l’ansietà dell’adolescenza stessa.Scritto nel 1944 è certamente un libro ardito: lo svegliarsi ed il brancolamento dell’amore che cerca la sua preda nella notte. Una notte ben rappresentata dalle tenebre di un dormitorio di collegio, una notte che è la notte del cuore.
Nel mondo chiuso, leggiadro e crudele di un collegio, mondo sconosciuto ad uno come me, che aveva vissuto la sua fanciullezza e la sua adolescenza sulla strada, si sviluppa un’amicizia sentimentale tra due giovani eccezionali: Georges de Sarre e Alexandre. Ciò accade, nonostante i padri ammonivano “qu’elles (le amicizie) ne soient jamais de ces amitiés qui cultivent uniquement la sensibilité, car ainsi que l’a dit Bourdaloue, la sensibilité se change aisément en sensualité. Qu’elles soient des amitiés publiques et des amitiés de l’âme!(1).
Quest’amicizia particolare tra i due giovani porta con sé la catastrofe. Siccome Georges si accorge che Alexandre gli è conteso dall’educatore, l’abbandona. Per Alexandre la delusione è molto forte e per di più, ritenendo alto tradimento la consegna dei suoi biglietti fatta da Georges al confessore che l’ha costretto, conclude la sua vita avvelenandosi.

L’arte dello scrittore rinfresca nei nostri cuori i colori del vecchio conflitto del puro e dell’impuro e in un severo giudizio negativo sulla vita di collegio lascia trasparire un sincero ed intimo anticonformismo.

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Non passò molto da questa mia lettura che quell’acuto studioso dell’École Lyonnayse che era Enzo Giudici mi invitò ad interessarmi per la mia tesi proprio di Roger Peyrefitte. Accettai. Fu un lavoro duro per il reperimento dei testi in lingua originale francese e perché non esisteva ancora una monografia su di lui (ne esiste oggi qualche altra oltre quella, da me scritta, che discussi per la mia laurea?). Decisi di recarmi a Parigi presso la casa editrice Flammarion perché mi aiutasse e perché con la sua intercessione potessi intervistare l’autore.

Io avevo letto il suo capolavoro, il romanzo psicologico Les amitiés particulières (Vigneau, Paris 1944 e 1945), ma seppi ben presto che a questo erano seguiti altri scritti, pubblicati fino al 1950 con Vigneau e dal 1951 in poi con la famosa e grande casa editrice Flammarion di Parigi (con la quale smetterà nel 1973): i romanzi psicologici Mademoiselle de Murville (1947), Jeunes proies (1957), L’éxilé de Capri (1959) e i famosi panphlets La fin des Ambassades (1953), Chevaliers de Malte (1957), Les clés de Saint Pierre (1955), Les fils de la lumières (1961), Le juifs (1965). Negli anni succesivi pubblicherà altri scritti, tra i quali Notre amour (1967), Les Américains (1968), Des Français (1970), Trilogie sur Alexandre le Grand (Albin Michel, Paris 1977-1979-1981), Roy (Albin Michel,1979), Voltaire, sa jeunesse et son tomps (Albin Michel, 1985), Voltaire et Frédéric II (Albin Michel, 1992), Retour en Sicile (Ed. du Rocher, 1996), opere che, però, oltre a confermarci  ancora una volta che egli ha posto il suo ideale umano nell’infanzia, non aggiungeranno nulla di nuovo a quelle che erano le sue caratteristiche di scrittore: l’indagine psicologica e la radiografia e la stigmatizzazione della società contemporanea, cioè le inchieste attraverso vari ambienti della nostra società.

Lo intervistai il 16 aprile 1966. Mi accompagnava il mio collega Pier Luigi Trevisani.
Peyrefitte, non sposato, viveva all’epoca con una vecchia governante in un appartamento dell’Avenue du Maréchal Monoury a Parigi, ma stava già per cambiare indirizzo. Precedentemente aveva l’abitazione sull’Avenue Hoche, nei pressi dell’Arc de Trionphe. Cambiava spesso abitazione, principalmente per poter lavorare in pace e per non essere disturbato dai giornalisti, che venivano tutti mobilitati per lo scalpore che suscitavano i suoi volumi al momento dell’apparizione in libreria. Non va taciuto comunque che di fastidi ne ricevette abbastanza dalle azioni giudiziarie intentate contro di lui dalle persone che si sentirono offese dai suoi libri, ma bisogna anche dire che le cause si risolvevano in genere con un nulla di fatto. Mai nessuno è riuscito a far sequestrare un suo libro.

L’incontro mi fu preparato dal Service de Presse della casa editrice Flammarion che pubblicò tutto quanto egli scrisse fino al 1970. L’autore era sulle Alpi a sciare, ma accettò ben volentieri di venire a Parigi per conoscermi e per essere da me intervistato. Lo studio, nel quale mi ricevette con genuina cordialità, era circondato ed abellito con garbo di quadri d’autore, di tappeti persiani, di marmi greci e di bronzi antichi. Ricordo benissimo l’efebo che teneva alla sua alignright sulla sua scrivania.

Da Flammarion avevo ricevuto tutto quanto Peyrefitte aveva pubblicato fino ad allora. Mancava il bellissimo Du Vésuve à l’Etna (1959). La sorpresa fu che lo ricevetti alla fine dell’intervista dalle mani dell’autore stesso. Un libro raro, in edizione a tiratura limitata e numerata sul cui frontespizio egli scrisse “Per Rinaldo Longo, che porta la fiamma, giammai spenta, del Vesuvio e la luce, sempre limpida, di Napoli, nello studio della mia opera. Con ringraziamenti e auguri d’un amico e quasi concittadino di Napoli. Roger Peyrefitte. Parigi 16. VI. 1966“. Egli unisce al libro una sua foto con dedica che scrisse con la sua elegante stilografica.

Ritornato in Italia, portai a termine il mio lavoro, constatando alla fine di aver scritto la prima monografia organica su Peyrefitte, contenente una ricca bibliografia, nutrita fra l’altro di numerosissimi articoli di critica sulle principali opere dell’autore, pubblicate fino ad allora.

Una delle peculiarità dell’opera di questo autore, del quale molto si parlò mentre era in vita, è lo scandalo letterario, l’autobiografia e i personaggi, il tutto in una unità d’intenti e nella ricerca della verità e di argomenti autentici a cui si unisce la lotta contro le ipocrisie e i pregiudizi. Peyrefitte ci permette di riflettere sul senso della libertà e sulle sue costanti di fondo delle sue opere, quali lo scetticismo ed il pessimismo, l’anarchia e l’assenza del problema metafisico. In margine a quest’ultimo punto bisogna comunque far notare che quando morì il 5 novembre del 2000, all’età di 93 anni a Parigi, chiese il conforto dei sacramenti della Chiesa.

Egli è stato definito il nuovo Anatole France ed il Voltaire del XX secolo. Il suo talento ed il suo stile, incisivo ed elegante, il suo modo di presentare leggermente le cose serie, la sua documentazione che stupisce, uniti ad una vasta cultura classica, la sua conoscenza profonda dei fatti che egli esprime non da calunniatore, ma da censore avvertito, tutto contribuisce a rendere i suoi libri di una lettura piacevole ed interessante.

Peyrefitte sente molto il peso del decoro, la forma, scrive con cura e minuzia. È un purista intransigente, ha il gusto del termine, anche se disusato, pur sforzandosi di non cadere nella preziosità. È un maestro della fine satira, che egli ritiene giustificabile solo se fondata sulla verità, per cui non può essere scandalosa, ma fa opera di morale.
Nella mia intervista del 16 giugno 1966, alla richiesta se vi fosse parte della critica contraria che egli accettava, rispose: “È difficile piacere a tutti, e questo è vero quando nell’opera di uno scrittore si trovano uniti stile, imparzialità, brio dello spirito, il piccante dell’argomento, la novità”.

Peyrefitte è un autore sul quale dovremmo porre di più la nostra attenzione. Certamente egli è stato un radiografo ed uno stigmatizzatore della società della seconda parte del XX secolo, ma anche il delicato assertore delle bellezze del Sud dell’Italia (si pensi a Du Vésuve a L’Etna e a Retour en Sicile), da lui ritenute sorgenti inesauribili d’ispirazione.

Rinaldo Longo


1:Les amitiés particulières, p. 32

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