HomeMostre ed EventiHighlights. Maestri dal '500 al '700 dai Musei Nazionali di Genova

Highlights. Maestri dal ‘500 al ‘700 dai Musei Nazionali di Genova

Joos van Cleve, Madonna orante
Joos van Cleve, Madonna orante

Assieme a Palazzo Bianco e Palazzo Rosso, Genova può vantare altre due sedi museali di indubbio prestigio, che costituiscono altrettante tappe obbligate per il visitatore che intenda approfondire la conoscenza della civiltà figurativa ligure del “secolo d’oro”. Mi riferisco ovviamente alle quadrerie di Palazzo Spinola e Palazzo Reale, oggi riunite sotto la denominazione comune di Musei Nazionali di Genova. È qui che è custodito quel che resta delle strepitose collezioni di alcune tra le principali famiglie della città: gli Spinola, appunto, i Balbo, i Durazzo… Raccolte che, dopo l’unità d’Italia, furono arricchite da cospicue donazioni reali, e che anche in tempi recenti hanno potuto usufruire di lasciti e di nuove importanti acquisizioni.

Il Teatro del Falcone ospita sino al 24 settembre 2023 la mostra “Highlights. Maestri dal ‘500 al ‘700 dai Musei Nazionali di Genova”. L’esposizione – una quarantina di opere scelte, provenienti dalle sale di Palazzo Spinola e Palazzo Reale – intende innanzi tutto documentare il grande interesse che, nei secoli in cui la città viveva il suo massimo splendore, l’aristocrazia locale seppe rivolgere alle esperienze artistiche più significative che andavano maturando nel resto dell’Italia e anche all’estero: nelle Fiandre in particolare, con cui la Superba ebbe tra la seconda metà del Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo legami finanziari e culturali profondi. Ancor oggi è a Genova che si conserva il nucleo più consistente di tavole fiamminghe di epoca rinascimentale: di Memling, David, Prevost, Frans Pourbus il Vecchio, Giusto di Ravensburg, Van Cleve… Di quest’ultimo campeggiano in mostra due splendidi dipinti: una raffinatissima Madonna orante e il Ritratto di Stefano Raggio (quello stesso Stefano Raggio che commissionò il trittico dell’Epifania, il capolavoro di Van Cleve oggi custodito nella chiesa di san Donato).

- Advertisement -

Le Fiandre, dunque. E però anche altri centri divennero il punto di riferimento per una committenza colta, consapevole del profondo rinnovamento pittorico che si andava realizzando in quegli anni: Venezia (in mostra sono presenti dipinti di Tintoretto, Bordon, Leandro da Ponte), Bologna (da dove proviene la Sibilla Samia del Guercino, di squisita fattura attica), Roma (dove nel primo Seicento, al fianco di Caravaggio, operavano artisti come Gherardo delle Notti e Orazio Gentileschi).

Ma se Il sacrificio di Isacco di Gentileschi è esempio emblematico di un’opera giocata sulla commistione tra istanze caravaggesche e suggestioni venete, veronesiane e lottesche in particolare (nell’eleganza sapiente delle figure, nel contrasto netto tra la parte in ombra del dipinto e quella investita dalla luce), la grande stagione del Seicento genovese, mentori Rubens e Van Dyck, la cui presenza a Genova nei primi decenni del secolo venne a incidere profondamente nell’ambiente artistico locale, si nutrì del dinamismo e dell’esuberanza lussuosa, carnale e sensuale, del Barocco.

Alla piena affermazione dell’estetica del Barocco andrà ricondotta la produzione matura di Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio. Nato a Genova, ma attivo soprattutto a Roma, dove gli furono assegnati importanti cicli di affreschi (su tutti, le decorazioni per la Chiesa del Gesù), il Baciccio si segnala in mostra con un intenso notturno, L’adorazione dei pastori, un evidente omaggio al Rubens di Fermo e al Grechetto della chiesa genovese di san Luca, con la luce del Bambino che rischiara la scena facendo emergere le altre figure dall’oscurità; e lo squisito Quo vadis Domine?, una tela che alla severa compostezza del classicismo bolognese unisce, nella raffinata esecuzione scultorea della figura di Cristo, richiami ai modi del Bernini, che di Gaulli, a Roma, fu amico ed estimatore.

Alla maniera berniniana guarda pure il maggiore scultore genovese del Seicento, Filippo Parodi. Nella sua serie di quattro statue in marmo bianco – Venere, Adone, Clizia, Giacinto –, Parodi ripropone l’antico mito greco della metamorfosi attraverso mediazioni letterarie colte (Ovidio e Giovan Battista Marino), stemperando le ridondanze del linguaggio barocco in morbidezze, languori e sfinimenti presettecenteschi. Siamo di fronte a quel Barocco contaminato da venature venete, classiciste, manieriste, tenebriste, su cui si muovono altri esponenti di spicco del Seicento genovese: il Grechetto, Gregorio De Ferrari, Guidobono, Domenico Piola, Assereto, Orazio De Ferrari…

Agli artifici poetici del cavalier Marino si ispira pure Valerio Castello nel realizzare il suo Ratto di Proserpina. Anche qui la lezione di Rubens emerge all’evidenza nell’uso vibrante della luce e del colore, così come nella scelta di toni cromatici accesi e nel senso di concitazione affannosa, soffocante della scena, tradotta in un linguaggio vorticoso.

Il magistero di Rubens e, in seconda battuta, quello di Van Dyck, venendo a delineare un preciso modello di ritratto di rappresentanza che si adattava appieno agli intenti autocelebrativi del patriziato locale, costituirono un riferimento essenziale nel campo della ritrattistica genovese del Seicento. Si pensi al severo Ritratto di prelato di Carbone: un piccolo capolavoro di immediatezza e realismo psicologico, dove il pittore gioca sul contrasto tra il pallore del volto (di formidabile forza espressiva) e delle mani, e i toni cupi dell’abito talare e dell’ampio tendaggio sullo sfondo. Analoga realistica intensità di sguardo e analoga attenzione ai rapporti cromatici nel vigoroso Ritratto di monaca di Strozzi, esso pure di chiara maniera rubensiana.

La rassegna si chiude con due aggraziati dipinti di Anton von Maron, un pittore viennese, ma lungamente attivo in Italia. Siamo ormai nel tardo Settecento, in piena temperie culturale neoclassica (von Maron fu allievo e cognato di Mengs). Le fortune della Repubblica di Genova vivono gli anni di un lento e inesorabile tramonto. Ma von Maron sceglie di ritrarre le sue dame d’alto lignaggio in abiti sontuosi e all’ultima moda, entro interni domestici in cui dominano l’eleganza e il lusso. Come a esorcizzare il diluvio in arrivo.

Nicola Rossello

- Advertisement -
- Advertisement -

MOSTRE

- Advertisement -

LIBRI