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La cuoca del Presidente – Film di Christian Vincent – Recensione

Una scena del film La cuoca del Presidente

La timida, con cui, nel 1990, Christian Vincent esordì nel lungometraggio, era uno squisito, raffinatissimo esercizio di stile che, ragionando sul tema della seduzione amorosa (e sul rapporto tra autore e creazione narrativa), esibiva una sapiente, meditatissima e rigorosissima struttura drammaturgica, dietro la quale era ben agevole cogliere la lezione del cinema di Rohmer. Quel film ebbe un clamoroso e più che meritato successo. E tuttavia, nelle sue prove successive, Vincent ha scelto di muoversi, curiosamente, su direttrici diverse optando per costruzioni drammatiche dal respiro più esile, meno preordinate e meno rifinite, che gli consentissero di privilegiare il lavoro di messa in scena, il ritratto dei personaggi, la definizione degli ambienti, anche a costo di sacrificare l’aspetto più propriamente narrativo, che avrebbe potuto denunciare talora qualche manchevolezza. E così, se Beau fixe (1992) e La séparation (1994) erano illuminati da uno sguardo costantemente fresco e intenso, il problema di un film come Hotel cinque stelle (Quatre étoiles, 2006) era quello di sostenersi su un copione pigro, asettico, piattamente derivativo, dove i richiami a Hitchcock e a Lubitsch apparivano sconsideratamente ambiziosi.

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Anche La cuoca del Presidente, nel suo procedere, conserva qualcosa di faticoso, di macchinoso. L’andirivieni temporale utilizzato per narrare la storia (la pellicola presenta una struttura a cornice entro la quale si sviluppano una serie di flashback) si rivela uno stratagemma meccanico e posticcio. In particolare, le sequenze in Antartide che aprono e chiudono il racconto retrospettivo, appaiono fiacche e di ben scarso interesse.

A catturare la curiosità dello spettatore sono piuttosto le avventure umane (e culinarie) di Hortence all’Eliseo (la pellicola si ispira all’esperienza reale di Danièle Delpeuch, che fu, per due anni, cuoca personale del Presidente Mitterrand), la cronaca della battaglia sorda, tenace che oppose la donna – dunque una presenza anomala, un corpo non omogeneo alla realtà in cui si trova a operare – a un universo maschile e maschilista (quello della burocrazia e dei grandi chef), ermeticamente chiuso in se stesso, geloso dei propri meschini privilegi, refrattario pertanto a ogni cambiamento, e inevitabilmente ostile verso una figura femminile che, vivendo la creatività artistica come maternità alternativa (Hortence non sembra avere una vita privata), è indotta a esercitare la propria tensione agonistica contro l’ideologia maschile imperante.

Il film illustra allora un percorso conflittuale sfiancante – un impari corpo a corpo – di un’eroina generosa, volitiva, di carattere, ma fatalmente portata a scontrarsi, proprio a causa della sua intransigenza e caparbia determinazione, con forze che si presentano come l’opposto corrispettivo dell’eroina stessa, e che vedono in lei un’intrusa, un elemento di difformità, di disordine, di destabilizzazione – forze soverchianti, che avranno inevitabilmente il sopravvento. La storia di Hortence è una storia di rinuncia: incapace di imporre la propria presenza in un ambiente di cui essa ignora peraltro le regole che presiedono ai giochi del potere, sempre più insofferente degli intrighi di palazzo e delle continue difficoltà e dei ripetuti attacchi che le vengono portati dai suoi avversari, la donna si risolverà infine a mollare ogni cosa e a trasferirsi in Antartide, ovvero nel luogo più lontano possibile dall’Eliseo.

Ora, se il resoconto delle lotte di palazzo, così come ci viene fornito da Vincent, conserva qualcosa di prevedibile, per altri versi la vicenda del film sembra volersi prestare a una lettura metaforica: nel lavoro meticoloso di Hortence tra i fornelli della cucina presidenziale, nella passione con cui la cuoca si applica all’elaborazione dei suoi piatti sopraffini, si potrebbe cogliere una riflessione sull’atto creativo e sul rapporto tra l’autore e l’opera d’arte: sul processo di ideazione ed elaborazione del prodotto cinematografico, sul piacere stesso insito nel filmare (il piacere che il cineasta prova nel dare vita e respiro a un racconto per immagini), e sulle mille difficoltà – finanziarie e burocratiche – che si frappongono alla realizzazione di un film.

Il proposito più esplicito di Vincent resta tuttavia un altro: quello di celebrare l’eccellenza della gastronomia francese, una grande cucina fondata sui prodotti e i sapori della tradizione, del territorio, che posseggono un passato, una storia: un patrimonio culinario che appare purtroppo destinato a cedere il passo a una nuova e più moderna cultura dell’alimentazione che sembra conoscere unicamente le esigenze del risparmio: risparmio di tempo, di denaro, di calorie.

Nicola Rossello  

Scheda film

Titolo: La cuoca del Presidente
Regia: Christian Vincent
Cast: Catherine Frot, Jean D’Ormesson, Hippolyte Girardot, Arthur Dupont, Jean-Marc Roulot, Arly Jover, Brice Fournier, Joe Sheridan, Philippe Uchan, Laurent Poitrenaux, Hervé Pierre, Louis-Emmanuel Blanc, David Houri, Nicolas Chupin
Durata:  95 minuti
Genere:  Commedia
Distribuzione: Lucky Red
Data di uscita: 07 marzo 2013

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