HomeIn primo pianoGinevra Grossi intervista Jean-Paul Manganaro, traduttore in francese di Italo Calvino

Ginevra Grossi intervista Jean-Paul Manganaro, traduttore in francese di Italo Calvino

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18 gennaio 2012: giornata fredda ma senza pioggia a Parigi. Mi reco all’appuntamento gentilmente accordatomi dal prof. Jean-Paul Manganaro, docente di letteratura italiana presso l’Università di Lille III, traduttore di diversi scrittori italiani, fra cui Italo Calvino, al quale ha dedicato anche un volume: Italo Calvino. Romancier et conteur (Seuil, 2000).

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Per cominciare, mi parli del suo ricordo personale di Calvino.

Ho conosciuto poco Calvino. Ho cominciato a tradurre Calvino con Palomar, su richiesta dell’editore. Nell’’83-‘84 ho continuato con Collezione di sabbia, poi C. muore. L’ho incontrato per la traduzione di Palomar, per verificare che tutto andasse bene. Ci siamo visti in alcune occasioni non di lavoro. Telefonava molto spesso per chiedere informazioni e da quel momento ha deciso che fossi sempre io il traduttore per tutto quello che restava da tradurre, ed era ancora tanto. Credo di aver tradotto una ventina di opere sue. Era una persona affabile, molto cortese, ma non ho avuto esperienze più profonde.

Le traduzioni in francese di Calvino non seguono un ordine cronologico. La prima risale al 1955 ed è Le vicomte pourfendu di Juliette Bertrand. Calvino si presenta quindi al pubblico francese come scrittore di racconti fantastici, anche se l’opera d’esordio era Il sentiero dei nidi di ragno, un romanzo realista. Secondo lei a cosa è dovuta questa scelta degli editori?

L’editore sceglie un titolo di un autore affermato ma non ricompone la sua opera. Può farlo in modo postumo. Le Seuil ha pubblicato una raccolta di opere più o meno completa di tutto quello che è stato pubblicato in Francia, ma è abbastanza normale che in un Paese straniero l’autore non venga presentato seguendo un ordine cronologico e comunque in modo postumo molte cose sono state rifatte.

Il genere realista era poco interessante per il pubblico francese?

Nel ’48 l’edizione del Sentiero era tutt’altra, inoltre ci volle tempo perché l’immagine di Calvino si affermasse in Italia e potesse espatriare.

Secondo lei, perché Calvino non si è mai autotradotto?

Perché credo che non conoscesse abbastanza il francese.

Calvino seguiva le traduzioni delle sue opere?

Sì ma con l’editore, personalmente non ho mai avuto appunti da parte sua. Inoltre, l’unica traduzione a cui ho lavorato quando lui era in vita era Palomar, per Collezione di Sabbia era già morto. Ma questa era comunque responsabilità dell’editore.

Condivide l’affermazione calviniana “tradurre è il vero modo di leggere un testo”?

Se è il vero modo non lo so, ma è un modo estremo di lettura. Quando si legge non sempre ci si sofferma sulle cose. A volte si legge in modo superficiale, mentre per tradurre bisogna aver letto coscientemente: c’è un diverso livello di coscienza. Quindi se questo diverso livello di coscienza è il miglior modo di leggere sono d’accordo. Mi sembra abbastanza normale che sia così. Posso darle un’altra testimonianza: quando ho tradotto Deleuze per l’Italia, Deleuze alla fine disse: “Bisognerebbe che gli autori riscrivessero i loro lavori dopo essere stati tradotti”.

Nello stesso saggio, Calvino sostiene che tradurre fra due lingue simili, come l’italiano e il francese, è più complicato perché “sono continue le possibilità di un travisamento nascosto”, mentre fra due lingue lontane come l’italiano e l’inglese l’operazione è più semplice. Condivide questa affermazione?

Sì, c’è la possibilità di fare errori di diverso tipo. Bisogna stare più attenti ai “faux cousins”, parole che sembrano somigliare ma magari non coincidono. Sì, può succedere più facilmente.

Nonostante Calvino ritenga più difficile la traduzione fra italiano e francese, si cimenta come traduttore di Les fleurs bleues di Queneau, romanzo che aveva definito intraducibile. Calvino e Queneau erano legati anche da una forte stima reciproca e un rapporto personale. Ritiene importante la vicinanza fra autore e traduttore?

Ci dev’essere un’affinità linguistica. Il traduttore deve sentire la lingua dell’autore per farla propria e per poterla riversare. Se Calvino non mi piacesse non potrei tradurlo, non Calvino in quanto persona, ma in quanto lingua. C’è sempre una situazione di elettività che fa sì che alcune lingue siano consone e altre no. Ci sono molti autori che non potrei tradurre, non perché non ne sia capace ma perché non sento la risonanza, non mi interessano.

Come sottolinea all’inizio del suo libro, Calvino. Romancier et conteur, lo stile calviniano si caratterizza da una “clarté apparente” (chiarezza apparente). Lei quindi si sente più vicino a uno stile più fluido e scorrevole?

Io ho tradotto anche Gadda, quindi le difficoltà sono relative. Non si traducono mai solo le parole, ma si traducono movimenti, ritmi, tutto quello che appartiene alla lingua, che non è fatta solo di parole ma di forze scritte, di dinamiche. È questo che bisogna tradurre, non le parole. Bisogna tradurre i movimenti, le variazioni, le oscillazioni, i risentimenti, tutto quello che c’è in una lingua. Per questo bisogna saper scegliere cosa si traduce.

Ha riscontrato problemi di intraducibilità?

No. Non mi sembra ci siano situazioni rimaste insolute, anche se è un vecchio lavoro. Sono almeno otto anni che non traduco più Calvino perché considero che sia una vicenda chiusa, finita, conclusa. Ci sono stati problemi di struttura, certe costruzioni linguistiche calviniane che sono perigliose, ma non proprio intraducibili.

Quando traduce, lei preferisce mantenere la fedeltà all’autore o ai suoi lettori? Per usare un’espressione di Nida, per lei è più importante l’equivalenza formale o l’equivalenza dinamica?

Bisogna fare tutt’e due le cose. Essere al contempo fedeli ma tradurre anche le pressioni nascoste nella lingua che bisogna saper interpretare e interpretare significa soprattutto rendere. Fedeltà assoluta, nella misura del possibile, poi questa misura va valutata. Comunque è importante lasciare intatta la parola dell’autore. Molto spesso i traduttori hanno una lingua propria, che non è confacente all’autore che traducono e questo è già un guaio. Bisogna essere fedeli ma tradurre comunque le dinamiche.

Lei ha tradotto La vera storia, libretto di Calvino dell’opera di Berio. Il titolo nella traduzione resta invariato, perché? La traduzione di un libretto ha comportato difficoltà nella resa della lingua e in particolare della metrica?

I titoli li sceglie l’editore: trattandosi di un’opera lirica ha scelto di mantenere il titolo originale. La traduzione francese non era destinata a essere cantata, quindi la traduzione in quel caso si è limitata a rispettare il senso. Comunque c’erano problemi di ritmica e assonanza interni alla lingua da riportare il più possibile in francese, anche se era diversa la fruizione.

Anche nel caso di La Grande Bonace des Antilles, traduzione della raccolta di racconti Prima che tu dica pronto, il titolo è stato scelto dall’editore? Perché ha scelto un altro racconto?

Sì, è stata una scelta editoriale dovuta anche al fatto che in francese “avant que tu dises allô” non avrebbe avuto la stessa risonanza, la stessa portata umoristica che ha in italiano. Con quel titolo, il libro non sarebbe andato lontano. Sono gli editori a scegliere i titoli, in funzione di un servizio di comunicazione che gli è particolare. Spesso i titoli originali vengono modificati. È una raccolta di novelle, quindi dare dei titoli è anche un’astrazione. La Grande Bonace des Antilles è un racconto importante ed avrebbe attirato più facilmente l’attenzione del pubblico.

Nell’edizione francese sono stati aggiunti due racconti che in italiano si trovano ne I racconti ma non in Prima che tu dica pronto, perché?

Perché precedentemente erano stati esclusi da un’altra raccolta. Si è trattato di una scelta editoriale per completare un percorso narrativo lasciato in sospeso.

La poule de l’atelier riprende due personaggi, Pietro e Tommaso, che si trovavano in un altro racconto della raccolta, La collana di perle. Quindi questo racconto in particolare è stato incluso per questo motivo?

Sì, il racconto è stato incluso per dare maggiore continuità al percorso narrativo. Anche le edizioni italiane dei racconti di Calvino sono molte, Calvino stesso ha riorganizzato più volte la presentazione dei racconti. Forse aveva tolto questi due perché troppo realistici o neorealistici, o perché incompiuti.

Per concludere, quali sono i racconti contenuti in Prima che tu dica pronto che ritiene particolarmente importanti e perché?

Alcuni sono importanti non solo per capire la struttura linguistica, ma anche quella mentale di Calvino: Il lampo, Fiume Asciutto, Lo specchio e il bersaglio.

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