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Artemisia Gentileschi e il suo tempo, mostra a Roma

Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1620-21 ca. Olio su tela, 199x162,5 cm , Firenze, Gallerie degli Uffizi
Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1620-21 ca. Olio su tela, 199×162,5 cm, Firenze, Gallerie degli Uffizi

La spada è affilata. Affonda nella molle carne del collo, il sangue schizza, scende copioso, si insinua nei solchi formati dal lenzuolo bianco. Lei, sicura, procede nel taglio, mentre con l’altra mano stringe la testa tenendola ferma. Lui agonizzante tenta di svincolarsi, la pelle del volto tesa, le rughe della fronte marcate e tirate con forza, gli occhi sofferenti, sgranati come se volessero catapultarsi fuori dalle orbite. Giuditta che decapita Oloferne, dipinto realizzato intorno al 1620 da Artemisia Gentileschi, “Ma vien voglia di dire questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo”, scriveva Roberto Longhi nel 1916 riferendosi al capolavoro. Già una donna nell’Italia del Seicento maestra indiscussa dell’arte, voce fuori dal coro, visto il ruolo e la considerazione che l’Italia dell’epoca attribuiva alle donne.
Ciò che colpisce è la freddezza di Giuditta, come procede nel taglio con relativa tranquillità, senza scomporsi, senza quasi macchiare quell’elegante e bellissimo abito dalle maniche tirate fin oltre i gomiti, con delle merlature di bianco nella parte superiore che scoprono il candore della pelle e quel petto di bellezza tanto agognato da Oloferne.
Un’opera che mostra il talento di Artemisia, la sua capacità di affermarsi come donna nella storia dell’arte, di interpretare in modo personale i soggetti rappresentati con tecnica sublime arricchita dall’esperienza e dal desiderio di assorbire il meglio dei contemporanei, pittori, scultori e artisti dell’antichità. Donna moderna, appassionata, capace di misurarsi con i maestri del suo tempo, ma anche di declinare quella tecnica tanto sublime con le esigenze che di volta in volta riscontrava nei suoi committenti.

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Curata per la sezione napoletana da Nicola Spinosa, per la sezione fiorentina da Francesca Baldassari e per la sezione romana da Judith Mann, è allestita nelle sale del Museo di Roma a Palazzo Braschi la mostra Artemisia Gentileschi ed il suo tempo, che è possibile visitare fino al 7 maggio 2017.
In esposizione oltre 100 opere provenienti da tutte le parti del mondo, da collezioni private e da importanti musei, che consentono al visitatore di scoprire i capolavori realizzati durante tutto l’arco temporale della vicenda artistica di Artemisia Gentileschi e di confrontarli con quelli degli artisti del suo tempo.
I curatori hanno voluto sottolineare come l’artista sia stata capace di assorbire, declinando in modo personalissimo la tecnica e la poetica di molti colleghi conosciuti e frequentati a Roma, Firenze, Napoli, Venezia e durante la breve ma intensa parentesi londinese.

Oltre alle opere di Artemisia, in mostra sono presenti straordinarie tele come la Giuditta di Cristofano Allori, dal volto candido che emerge dall’ombra con in mano una spada e con l’altra la testa di Oloferne, proveniente dalla Galleria Palatina di Palazzo Pitti di Firenze, o l’Olimpia abbandonata da Bireno (1640 circa) di Giovanni Martinelli, in cui la donna si dispera vedendo la nave salpare in un mozzafiato paesaggio marino. Troviamo, inoltre, Jusepe de Ribera con il suo Compianto su Cristo Morto, opera collocata nella sezione napoletana, che insieme a tele di Guarino, Stanzione, Cavallino, Palumbo, dimostrano la proficua contaminazione, il confronto continuo e lo scambio di visioni tra Artemisia ed i colleghi partenopei. Nel Compianto di Ribera il Cristo è adagiato sul lenzuolo, evidenti e marcati i segni lasciati dai chiodi sul costato e sui piedi baciati con tenerezza da una donna. Meravigliose le mani intrecciate in preghiera della Madonna ed il volto che già guarda verso il cielo: prefigurazione della resurrezione.
Insieme al già citato Giuditta che taglia la testa a Oloferne del Museo di Capodimonte, possono essere ammirati nelle sale di Palazzo Braschi altri grandi capolavori di Artemisia Gentileschi come Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New York, l’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut, Susanna e i Vecchioni, Cleopatra, ed altri ancora.
Una rassegna di opere indimenticabili, come i suoi personaggi femminili caratterizzati da una grande fierezza o da una studiata ferocia.
Nella Morte di Cleopatra invece la figura femminile è distesa sul letto rivolta verso lo spettatore, la pelle pallida in netto contrasto con il manto blu che le cinge i fianchi, il volto e gli occhi morenti. Sembra un Cristo, simile a quello del Ribera, l’illuminazione è identica; perde i tratti regali, la corona è caduta oltre il cuscino, mentre sul lenzuolo ancora striscia l’aspide che le ha tolto la vita accanto ad un cesto di fiori bianchi ed uno rosso.

Artemisia Gentileschi ed il suo tempo è realizzata con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, promossa e prodotta da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Arthemisia Group e organizzata con Zètema Progetto Cultura.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Skira che dà conto dei diversi periodi artistici e umani di Artemisia e riporta le schede delle opere esposte, frutto dei più recenti studi scientifici e degli ultimi documenti rinvenuti.

Diego Pirozzolo
@diegogen

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