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Kemang Wa Lehulere in mostra al Maxxi di Roma

Un'opera di Kemang Wa Lehulere - Photo di G. Benni
Un’opera di Kemang Wa Lehulere – Photo di G. Benni

Il MAXXI di Roma presenta, insieme a Deutsche Bank, la prima mostra personale in Italia di Kemang Wa Lehulere, vincitore del premio Deutsche Bank’s Artist of the Year 2017. L’esposizione, che ha per titolo Bird Song, resterà aperta al pubblico dal 27 settembre al 26 novembre 2017.

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La mostra, a cura di Britta Färber e Anne Palopoli, presenta circa venti opere del giovane artista sudafricano (Cape Town, 1984), vincitore del riconoscimento annuale che Deutsche Bank rivolge ad artisti, emergenti o a metà carriera, che si sono distinti per la creatività e il valore significativo del proprio lavoro.

Nel suo lavoro, Kemang Wa Lehulere affronta alcuni grandi temi come la storia, il tempo e la funzione dell’artista nella società.
Bird Song è un progetto incentrato sul dialogo tra le sue opere e quelle di Gladys Mgudlandlu (1917-1979), un’artista autodidatta, tra i primi neri ad esporre le proprie opere in una galleria del Sud Africa negli anni ’60. Mgudlandlu dipingeva soprattutto paesaggi e uccelli, che le valsero il soprannome di Bird Lady, ma anche le critiche per non essersi schierata politicamente, e dopo la sua scomparsa fu dimenticata. Kemang Wa Lehulere cresciuto a Gugulethu, una township di Città del Capo, nello stesso quartiere della Mgudlandlu, scopre che sua zia Sophia Lehulere aveva visitato la casa della pittrice e conservava ancora il ricordo dei suoi murales: insieme a lei inizia dunque una ricerca sulle tracce di quei dipinti, riportandone alla luce alcuni che hanno ispirato questo progetto. In mostra trovano, dunque, posto una serie di lavori dal titolo Does this mirror have memory (2015), composti da dipinti della Mgudlandlu, ed elaborazioni disegnate con il gesso su lavagne nere, realizzate dall’artista insieme alla zia Sophia.

Il fine del progetto non è quello di riabilitare la memoria di un’artista dimenticata, quanto quello di creare un dialogo tra il presente e il passato del Sud Africa. Le opere di Wa Lehulere sono, infatti, profondamente radicate nella storia del suo paese e in quella personale, concentrandosi su temi come il condizionamento collettivo e i meccanismi di oppressione.

Tra le altre opere in mostra trovano posto due grandi installazioni. My Apologies to Time (2017), è composta da vecchi banchi scolastici smantellati e convertiti in casette per uccelli, una denuncia di come le scuole possano essere non solo luoghi per coltivare il pensiero, ma anche strumenti di controllo e condizionamento ideologico; l’installazione dialoga con alcuni acquerelli di Gladys Mgudlandlu che rappresentano paesaggi al limite dell’astrazione, interpretabili come inno alla libertà, ma anche come denuncia delle deportazioni cui la popolazione nera venne costretta durante l’Apartheid.

L’altra grande installazione è Broken Wing (2017), realizzata con pezzi di vecchi banchi di scuola, stampelle mediche e calchi dei denti dell’artista inseriti come morsetti a vite all’interno di Bibbie scritte nella lingua della tribù Xhosa. La stampella è un simbolo ricorrente nel lavoro dell’artista, rappresenta la perdita di qualcosa di autentico, il tentativo di ignorare o mantenere il silenzio su quanto accadeva in Sud Africa. Con quest’opera, Wa Lehulere esprime la sua reazione di fronte alle passate condizioni coloniali ed elabora la storia dell’attività missionaria e dell’espropriazione della terra nello stesso modo in cui la Bibbia affronta la Caduta dell’Uomo.

Il titolo della mostra, Bird Song è ripreso da una canzone jazz scritta per Miriam Makeba. Il jazz è parte integrante della vita e dell’opera di Wa Lehulere: in edizione esclusiva per la mostra, l’artista ha composto e registrato un album con il musicista Mandla Mlangeni, il cui spartito fa parte dell’opera Lefu la ntate (2017) composta da un pentagramma di capelli neri, un omaggio alla musica, all’identità nera, alla resistenza e alla lotta per la libertà e l’uguaglianza, rappresentati dallo stile delle acconciature afro.

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