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Dal neo-idealismo alla glottobiologia e ai concetti di “religio” e “superstitio”

Rinaldo Longo
Rinaldo Longo

Questo scritto nasce dalla voglia di dialogare con poeti, artisti, critici letterari e divulgatori di argomenti letterari e di arte nel mondo alla luce del concetto di linguaggio come superstitio o come religio.

Pur convinto che non vi può essere poesia che possa mettere in crisi l’istituto della critica né critica che possa mettere in crisi la poesia, ritengo che sia utile, necessario ed importante oggi parlare di poesia e di critica letteraria e quindi che si possa e si debba fare critica della critica della poesia. Condivido quindi ciò che scrive Benedetto Croce nell’avvertenza alle note sulla letteratura europea del secolo decimonono: “….gl’intelligenti ben sanno che la critica della poesia non può non formare un tutt’uno con la critica della critica della poesia” (Benedetto Croce, Poesia e non poesia, Laterza, Roma-Bari 1974, p. VIII, I edizione 1923). Nella stessa avvertenza Croce parla dell’importanza di “riportare sempre la considerazione alla poesia, che è (quantunque di tal cosa parecchi che fan mestiere di critici facilmente si dimentichino) ciò che deve formare l’assunto proprio della critica e storia letteraria” (ibidem p. VII).

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Per il neo-idealismo crociano dunque la sola e vera parola è “la parola nella sua originareità, la quale, dominando le commozioni e oggettivandole innanzi a sé, le converte in immagini, cioè entra senz’altro, per la sua virtù spirituale di parola, nella via della poesia” (ibidem pp. 328-329 nota 1). Croce afferma che la natura della poesia è “catarsi nella pura umanità, e vita che, disciogliendosi dalla tensione volitiva e pratica si fa verità” (ibidem p. 327).

Attenzione, però, Croce non crea una sua linguistica, egli parla di storia, di filosofia del linguaggio, di coscienza del valore della memoria, senza la quale non c’è linguaggio, non c’è arte, non c’è conoscenza. Ora “la memoria, la Mmemòsine di Benedetto Croce era tutta volontà e consapevolezza; quella che studiano i linguisti con l’aiuto degli psicologi e dei neurologi [oggi aggiungeremmo dei neuroscienziati, n. d. r.] è anche involontaria e inconsapevole. Occorrono l’una e l’altra a partorire le Muse, a produrre il linguaggio e la conoscenza” (Giovanni Nencioni, Croce e la linguistica, in L’eredità di Croce. Atti del Convegno internazionale Napoli-Sorrento, febbraio 1983, Napoli, Guida, 1985, p. 216).

La filosofia del linguaggio di Benedetto Croce fu oggetto di attenzione critica soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e fino al 1970. Vi parteciparono, a volte con più interventi, importanti linguisti, filologi, filosofi e giuristi, ne riportiamo alcuni nomi: G. Nencioni, G. Devoto, M. Lucidi, V. Pisani, M. Leroy, T. De Mauro, M. Pittau, L. Heilman, E. Coseriu, Antonino Pagliaro, ecc.

Intanto nel corso degli anni, giungendo fino ai giorni nostri si concretizzarono l’etnolinguistica, lo strutturalismo, il generativismo chomskiano, la psicolinguistica, la neurolinguistica, il connessionismo, la sociolinguistica, la statistica linguistica, la semiologia (in ambito sassone semiotica), la semantica, la teoria della comunicazione, la I.A. (intelligenza artificiale), la tecnicizzazione degli strumenti linguistici, ma soprattutto si intensificano oggi i rapporti tra la linguistica, la biologia e le neuroscieze che daranno luogo ad una più attrezzata neurolinguistica e più recentemente alla glottobiologia che introduce i concetti di religio e di superstitio e che pone la sua attenzione anche alla quantistica [Cfr. i seguenti scritti di Rinaldo Longo, Con la glottobiologia verso i fondamenti biologici del linguaggio (2011; prima edizione nel periodico La tela del ragno, Corigliano Cal. 1982), Il linguaggio vocale e le fluttuazioni quantistiche (2013), Biolinguistica o glottobiologia? (2012), Biolinguistica o glottobiologia? Il giudizio della glottotecnica (2012)].

In particolare la glottobiologia ci dice che il linguaggio è una determinazione genetica e consiste, prima di tutto nella “realizzazione vocalica della tendenza a vedere simbolicamente la realtà” (Rinaldo Longo, Poesia, scienze del linguaggio e discipline sociali, Albatros, Corigliano Calabro 1998, p. 9, p.10 n.* ). Nasce il linguaggio ponendosi come superstitio (ibidem pp.10, 27, 29, 30, 33; Walter Belardi, Superstitio, Istituto di glottodidattica, Università “La Sapienza” di Roma, Roma 1976), che significa lo stare in una qualche posizione rispetto a ciò che si è intuito.
Superstitio nei secoli vale come superstizione, ma nel secondo secolo a. C. si avverte l’esigenza di un termine nuovo: religio (Rinaldo Longo, Poesia, scienze del linguaggio e discipline sociali, cit., pp. 27, 29, 33) . Solo quando il linguaggio è inteso come religio la poesia e l’arte in genere, che di questo linguaggio si vestono, diventano religio. Ora, nella funzione emozionale poetica il segno non è mai arbitrario e va ricordato, inoltre, che la semantica ci ha arricchito delle importanti distinzioni fra atto estetico, atto magico e fatto sociale. Ma soprattutto voglio ricordare, anzi ribadire, avendolo sostenuto e scritto in più luoghi e sin dal 1982, che “quando si passa dalla parola creativa (quella del poeta) alla parola riflessiva (quella del fruitore, del lettore e del critico), alla proposta dell’artista deve far riscontro la risposta dell’interprete, del destinatario, dotato di strumenti interpretativi capaci di inserire meglio il cosiddetto ‘testo letterario’, o più in generale l’opera d’arte, nell’insieme composito della realtà culturale” (Rinaldo Longo, Poesia, scienze del linguaggio e discipline sociali, cit., p.10; su poesia come segno linguistico leggasi in ibidem p. 17 e in Rinaldo Longo, Arte figurativa contemporanea a Corigliano, il Seme, Corigliano Calabro 1997, p. 66 nota 3).

Rinaldo Longo

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