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“La notte del 12” – Film

La notte del 12

In un sonnolento villaggio adagiato ai piedi delle Alpi della Savoia, Saint-Jean-de-Maurienne, si consuma nella notte un delitto atroce: una ragazza, Clara, dopo aver trascorso la serata con le amiche, mentre sta rientrando a casa viene avvicinata da una figura con il volto incappucciato che le getta addosso della benzina e le dà fuoco. A fare luce sul misfatto e dare un nome all’assassino, è chiamata una squadra della polizia giudiziaria di Grenoble, a capo della quale c’è il capitano Yohan Vivès, un giovane investigatore scrupoloso, pacato e di poche parole…

La didascalia di apertura della pellicola è perentoria. Ci annuncia che l’indagine sul delitto a cui stiamo per assistere non potrà avere un esito positivo. Il caso, liberamente ispirato a un fatto di cronaca, è destinato a rimanere irrisolto. Non si giungerà all’individuazione del carnefice.

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Un avviso, quello della didascalia iniziale, che, in un polar dallo stile secco, austero, che rinuncia consapevolmente ai colpi di scena, induce lo spettatore a concentrare la propria attenzione non già sul meccanismo propriamente giallo del whodunit, bensì sull’ossessione di cui sarà preda Yohan (“Ogni investigatore”, precisa Dominik Moll, “un giorno si imbatte in un crimine che non riesce a risolvere e che lo perseguita, una storia che fa più male delle altre e gli impedisce di dormire”) e sulla radiografia dell’umanità mediocre, malata di indifferenza che emerge dall’indagine poliziesca. Un’indagine che giungerà assai presto ad assumere le forme di una riflessione sulle relazioni malsane tra maschile e femminile in una società come la nostra, per tanti versi ancora afflitta da pregiudizi misogini.

A conti fatti, quello che Moll vuole farci intendere è che, nell’economia del racconto, non è poi così importante scoprire chi sia stato l’autore del crimine. Vi è qualcosa di assai più terribile che emerge dall’inchiesta: la constatazione che ciascuno dei principali indiziati – tutti individui variamente sconsiderati, immaturi e ignobili con cui la vittima aveva avuto qualche avventura occasionale – potrebbe essere benissimo l’assassino di Clara. Ciascuno di essi, infatti, nel corso degli interrogatori arriverà a manifestare un tasso di ottusa sfrontatezza e abiezione sufficienti a fare di lui un potenziale colpevole.

Si sa: un buon giallo si riconosce non soltanto dalla solidità del proprio congegno narrativo, ma anche e soprattutto dalla forza che riesce a conferire a quegli squarci di realtà che la detection ha il compito di portare allo scoperto. La notte del 12, rinunciando a offrire allo spettatore una risoluzione rassicurante e catartica, ci dice sulla violenza contro le donne assai più di quanto ci hanno saputo suggerire tanti libri e reportage giornalistici che hanno affrontato lo stesso argomento.

Ma di altro ancora ci parla il film: della difficoltà di leggere, oggi, una realtà che si è fatta aggrovigliata, sfuggente, inafferrabile. Tra interrogatori estenuanti, sopralluoghi sulla scena del crimine, perquisizioni infruttuose, intercettazioni telefoniche, piste ingannevoli, ammissioni parziali, testimonianze reticenti, sospetti destinati a restare tali per mancanza di prove certe, lo sguardo che il capitano Vivès getta sulle persone e i fatti con cui è chiamato a misurarsi, si rivela alla lunga uno sguardo parziale e inadeguato, viziato com’è da pregiudizi maschili. Il mistero della morte di Clara, una giovane donna che, come ricorda tra le lacrime la sua migliore amica, “si innamorava facilmente dei ragazzi sbagliati, ma era pur sempre una brava persona”, resterà per lui un enigma insolubile.

Di questo Yohan arriva a essere consapevole. Di qui il suo senso di frustrazione e di alienante impotenza. Di qui quell’aria di stanca rassegnazione che pur traspare nella determinazione caparbia con cui egli conduce il lavoro investigativo. Solo l’intervento di uno sguardo altro, femminile, più prossimo al vissuto della vittima – quello del giudice istruttore donna; quello di Nadia, il nuovo membro della squadra – gli consentirà di ritrovare fiducia in se stesso.

Nicola Rossello

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