HomeIn primo piano“Bosch e un altro Rinascimento”, mostra a Palazzo Reale di Milano

“Bosch e un altro Rinascimento”, mostra a Palazzo Reale di Milano

Jheronimus Bosch, San Giovanni Battista, 1495 circa, Olio su tavola, Madrid, Museo Lázaro Galdiano © Museo Lázaro Galdiano, Madrid
Jheronimus Bosch, San Giovanni Battista, 1495 circa, Olio su tavola, Madrid, Museo Lázaro Galdiano © Museo Lázaro Galdiano, Madrid

Hieronymus Bosch fu autore di opere devozionali, quadri di soggetto religioso destinati a chiese e conventi, che illustravano la vita di Cristo o di santi (in mostra, San Giovanni Battista, del Museo Lázaro Galdiano di Madrid). E tuttavia già nei tempi in cui visse, e poi nei secoli successivi, egli fu conosciuto soprattutto per la sua produzione figurativa ispirata al demoniaco: tutto un infinito e vivido repertorio di immagini fantastiche, bizzarre, raccapriccianti; evocazioni oniriche nutrite dell’immaginario popolare tardomedievale che, anche nei tempi più recenti, continua a suscitare un indubbio fascino su studiosi e spettatori.

Può apparire sorprendente, ma l’immenso successo di Bosch non riguardò soltanto la sua terra d’origine, le Fiandre, ma si diffuse subito anche nei Paesi dell’Europa meridionale, in Italia e in Spagna in particolare: a Venezia, dove diversi suoi dipinti entrarono a far parte della prestigiosa quadreria del cardinale Domenico Grimani; alla corte asburgica di Filippo II, che fu un ammiratore entusiasta e un appassionato collezionista delle sue opere (ciò che consentì alle stesse di sottrarsi agli attacchi dell’Inquisizione).

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La mostra “Bosch e un altro Rinascimento” (dal 9 novembre 2022 al 12 marzo 2023 a Palazzo Reale di Milano) si propone di studiare l’influenza che il linguaggio visionario di Bosch ha esercitato sugli artisti del Cinquecento e del primo Seicento in un’area geografica in cui, accanto al classicismo rinascimentale allora trionfante, andava emergendo un Rinascimento “alternativo”: una corrente pittorica (ma anche letteraria) che all’equilibrio e alle forme colte e idealizzanti di Raffaello opponeva le figure e i colori cupi e dissonanti dell’incubo e dell’orrore.

A suo tempo, nel 1962, Eugenio Battisti in un suo celebre saggio parlò di “Antirinascimento”, una definizione in cui egli faceva rientrare quel gusto del grottesco, del capriccioso, dell’eccentrico, dello stravagante, del deforme, in una parola, dell’anticlassico, che già nel primo Cinquecento veniva a porsi come controparte antagonistica del Rinascimento ufficiale. I curatori della rassegna, Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi, si sono mossi lungo questa linea interpretativa, allineando nelle diverse sezioni del percorso espositivo, accanto ad alcuni capolavori autografi del maestro fiammingo, un gruppo di dipinti (di Battista Dossi, del Savoldo, del Civetta, del Garofalo, di Jan Bruegel il Vecchio…), incisioni (notevole, in particolare, la serie dei Sette peccati capitali, ricavati da disegni di Pieter Bruegel il Vecchio, che fu il vero continuatore ed erede di Bosch), arazzi, sculture, bronzetti, in cui è avvertibile un’eco del lessico artistico boschiano.

Per lo spettatore non specialista, la mostra resta innanzi tutto un’occasione imperdibile per confrontare tre diverse versioni delle Tentazioni di Sant’Antonio, uno dei soggetti favoriti di Bosch: quella, monumentale, del Museu Nacional di Lisbona, quella del Prado e quella delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (è l’anta sinistra del Trittico degli eremiti). In tutte e tre le versioni il santo, costantemente esposto alle insidie dei demoni, appare comunque sereno, incurante della turba strisciante di viscidi mostri, creature ibride e mutanti, donne nude, che si agitano intorno a lui per distoglierlo dalle sue devote meditazioni e indurlo al peccato. Sullo sfondo, tra sinistri bagliori che squarciano un cielo nero e profondo e visioni di città divorate dal fuoco, il paesaggio conserva qualcosa di allucinato, di spettrale, di apocalittico.

Dal Groeningemuseum di Bruges giunge il Trittico del Giudizio, una tavola peraltro di attribuzione incerta (Erik Larsen la considera di scuola). Anche qui bizzarre architetture, rovine infiammate di regni infernali, una ridda di figure orride e grottesche e demoniache, intente a infliggere alle anime dannate i più atroci supplizi.

È rimasto invece al Prado, in quanto considerato inamovibile, il dipinto forse più sfuggente ed enigmatico di Bosch: Il trittico del Giardino delle Delizie: un’opera di difficile decifrazione, che ha provocato tra gli esegeti le interpretazioni più discordanti. In mostra sono presenti, comunque, una copia di bottega di buona fattura e un arazzo che ne riproducono il soggetto: quanto basta a offrirci un ragguaglio della prodigiosa capacità d’invenzione di Bosch.

Nicola Rossello

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