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“Man Ray. Opere 1912-1975” – Mostra a Genova

Man Ray. Les larmes/Le lacrime, 1930-1932 (1976). stampa in bianco e nero alla gelatina d’argento, 17.5 x 23 cm. Courtesy Archivio Storico della Biennale di Venezia - ASAC, Venezia © Man Ray Trust by SIAE 2023
Man Ray. Les larmes/Le lacrime, 1930-1932 (1976). Stampa in bianco e nero alla gelatina d’argento, 17.5 x 23 cm. Courtesy Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, Venezia © Man Ray Trust by SIAE 2023

Man Ray nasce nel 1890 a Filadelfia da una famiglia di immigrati russi di origine ebraica, ma cresce a New York, dove ha modo di frequentare la comunità dadaista americana e di stringere amicizia con Marcel Duchamp, in temporanea trasferta negli USA. I suoi primi lavori si muovono all’unisono e spesso anticipano le sperimentazioni tecniche e formali che nel primo Novecento cubisti, dadaisti e surrealisti andavano praticando in Europa, dal collage astratto all’assemblage, dall’oggetto ritrovato al ready made “aiutato”. Di fatto, se la sua poliedrica attività creativa si pone sin da subito sotto il segno della varietà dei linguaggi adottati (la pittura, il disegno, la scultura, la fotografia, da ultimo il cinema), la sua produzione più propriamente pittorica si muove con estrema disinvoltura tra continui mutamenti di stile. Come ha osservato Arturo Schwarz, uno dei suoi massimi studiosi, “una volta padroneggiato uno stile, cessava il piacere della novità e Man Ray passava rapidamente a un altro”.

La mostra di Palazzo Ducale a Genova (aperta sino al 9 luglio 2023 – prorogata fino al 27 agosto 2023 -, curatori Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola) intende dar conto di questa varietà di sperimentazioni linguistiche e di esperienze ripercorrendo in ordine cronologico le tappe fondamentali della carriera dell’artista, dal primo periodo americano di apprendistato e di ricerche in ambito dada, al lungo soggiorno nella Parigi delle avanguardie storiche entre deux guerres, alla fase conclusiva del suo itinerario creativo in California e poi ancora in Europa.

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Nel luglio del 1921 Man Ray decide di lasciare l’America e di trasferirsi a Parigi, dove, tramite Duchamp, si aggrega prima al gruppo dadaista, poi, nel 1924, a quello dei surrealisti. Ottiene subito uno straordinario successo come fotografo, lui che considerava le fotografie che realizzava per le riviste di moda “un mezzo per guadagnarsi da vivere, per poter essere libero di perseguire l’attività più interessante, ma meno remunerativa, della pittura” (Schwarz). Eppure, anche a tacere delle innovazioni tecniche che Man Ray apporterà in questo campo (il rayograph, la solarizzazione), è proprio in alcuni straordinari scatti fotografici che sono da ricercare i suoi maggiori raggiungimenti.

Penso soprattutto a Erotique voilée – Meret Oppenheim à la presse chez Louis Marcoussin: un’immagine di grande sensualità con la famosa modella nuda, dietro la ruota di una pressa tipografica, il braccio sinistro sporco d’inchiostro appoggiato alla fronte, l’atteggiamento assorto di chi appare perduto dietro pensieri segreti. O a Le violon d’Ingres, omaggio enigmatico e arguto alla Donna al bagno del grande maestro del Neoclassicismo francese, con Kiki de Montparnasse, altra sua celebre musa e modella, fotografata di spalle, i capelli nascosti in un turbante, sul dorso nudo i segni a effe del violoncello (il titolo è allusivo al passatempo preferito di Ingres, il violoncello, appunto; come a dire che per Man Ray la fotografia restava comunque un semplice hobby…).

L’omaggio a Ingres non deve sorprendere. Lontano come più non si potrebbe dall’accademismo e dalle forme di espressione figurativa tradizionali, Man Ray era pur sempre un convinto estimatore dell’arte dei secoli passati: dell’arte di Paolo Uccello, ad esempio, o dell’arte classica, che egli rivisita con umorismo malizioso e dissacrante nel celeberrimo assemblage della Vénus restaurée.

Man Ray, come altri esponenti del gruppo surrealista, vedeva nell’erotismo uno dei principali motivi ispiratori della propria creatività. Si pensi A l’heure de l’observatoire – Les amoureux: qui due colossali labbra color rosso fuoco volteggiano in un cielo nuvoloso sopra un paesaggio grigio, desolato. Le labbra chiuse vogliono alludere ai corpi allacciati di due amanti. Così l’artista legge il dipinto rivolgendosi alla donna del cuore: “La tua bocca, unica realtà, che dà valore al sogno e ripugna al risveglio, rimane sospesa nel vuoto, fra due corpi. La tua bocca diventa due corpi, separati da un orizzonte sottile, ondulato. Come la terra e il cielo, come te e me”.

Nel 1940, costretto a riparare in America a causa della guerra, Man Ray si stabilisce in California e torna a concentrarsi sulla pittura e sulla creazione di oggetti. Difficile però individuare nei suoi lavori del secondo periodo americano e poi di quello europeo (l’artista nel 1951 torna a Parigi, dove muore nel 1976) un discorso formale peculiare, riconoscibile, tra quadri astratti (Natural Painting), assemblage di stampo dadaista (Pêchage), paesaggi onirici dalle atmosfere rarefatte, a metà strada tra De Chirico e Dalì (Desert Plant), ritratti fotografici (la splendida serie dedicata alla moglie Juliet Browner). “Non mi interessa affatto essere coerente come pittore, come creatore di oggetti o come fotografo”, ebbe lui stesso a dichiarare.

Estraneo a ogni preoccupazione estetica (il concetto convenzionale di “bello” lo lascia indifferente), Man Ray anche nella stagione conclusiva della sua carriera s’impegna nella ricerca di un nuovo e dinamico linguaggio del presente. Un linguaggio ignaro di griglie, norme e schemi prestabiliti, ma capace di dare voce al libero estro creativo dell’artista (dove però, avverte bene Schwarz, “il libero gioco dell’immaginazione è assoggettato alle regole segrete di un rituale artistico inconscio”), di soddisfare il suo desiderio di reinventare la realtà (di offrire un’interpretazione immaginifica, spiazzante e destabilizzante della realtà).

Nicola Rossello

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