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Una relazione passeggera, un film di Emmanuel Mouret

Una relazione passeggera

“Non si scherza con l’amore”, diceva Alfred de Musset.

Non più giovanissimi, Charlotte e Simon pensano di essersi lasciati definitivamente alle spalle l’età delle vertigini romantiche. Conosciutisi per caso a una festa, scoprono di essere attratti l’uno dall’altra. E così, dopo una notte d’amore, decidono di stabilire una relazione libertina basata sul puro piacere fisico. Il loro dovrà essere un rapporto ludico, da cui saranno banditi impegni vincolanti e complicazioni sentimentali. Caratteri decisamente antitetici – lui, impacciato, vacillante, insicuro di sé, incline ad assecondare le decisioni dell’amante e, al tempo stesso, roso da sensi di colpa verso la legittima consorte a cui è affezionato, ma che tradisce; lei, madre single, all’apparenza disinibita, determinata e spavalda, fiduciosa nei propri desideri, di fatto afflitta da fragilità segrete –, Simon e Charlotte scopriranno a poco a poco di vivere emozioni inattese. Il cuore, si sa, conosce urgenze che la ragione si ostina stoltamente a ignorare.

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L’entrata in scena di un terzo personaggio porta la storia verso una direzione nuova e sorprendente, venendo a sconvolgere i precari equilibri della coppia, costringendo i due amanti a fare i conti con i propri desideri più autentici.

Una riflessione raffinata sul discorso amoroso (e sul potere del desiderio), quella che conduce ormai da anni Emmanuel Mouret attraverso una serie di “racconti morali” di chiara ispirazione rohmeriana che a una squisita scrittura letteraria (il cineasta marsigliese è un dialoghista scintillante e preciso) associano una limpida fluidità di messa in scena.

Qui egli immerge la vicenda in una Parigi luminosa (bella la fotografia di Laurent Desmet), tra giardini pubblici, sale di musei, camere d’albergo, ville e interni borghesi, arredati con gusto (v’è pure una puntata in campagna, a ribadire le consonanze tra il cinema di Mouret e quello della Hansen-Løve, dove pure i luoghi giocano un ruolo fondamentale), per seguire da presso, con tenerezza ed estremo pudore (non ci sono scene erotiche nel film. Il regista: “Volevo che questa piccola storia intima e nascosta non fosse un film di lenzuola e di letti”), l’evolversi della sua cronaca sentimentale lungo un arco temporale preciso (dalla fine di febbraio al mese di settembre). Concentrandosi esclusivamente sugli incontri dei due personaggi principali (il resto delle loro vite è confinato nel fuori campo), Mouret conferisce alla pellicola una fresca ma ingannevole levità, che, nella parte finale, si colora di una malinconia sottile e dolorosa. Come già accadeva in Rohmer, anche qui la trama dei desideri e delle illusioni è giocata sullo scarto tra la partitura dialogica e l’immagine, dove la parola, pur nella sua forza, si rivela incapace di esprimere quei sussulti del cuore che i silenzi, i piccoli gesti, gli sguardi, i primi piani dei volti, sanno invece comunicare allo spettatore.

Nicola Rossello

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