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A Genova una mostra dedicata al tema della nostalgia

Giacomo Trecourt, Autoritratto in costume orientale P 1026, 1842 circa, olio su tela, 80,5x65 cm, Comune di Pavia - Musei Civici e Castello
Giacomo Trecourt, Autoritratto in costume orientale P 1026, 1842 circa, olio su tela, 80,5×65 cm, Comune di Pavia – Musei Civici e Castello

Avevamo ammirato il Ritratto di Carlo Prayer nel personaggio di Alp di Hayez nel 1998 alla mostra di Padova sul maestro veneziano: un ritratto in notturno, con il mare sullo sfondo e, in primo piano, l’eroe che, pugnale in mano, volge lo sguardo verso il cielo. Il dipinto in questi giorni a Genova alla rassegna dedicata al tema della nostalgia, in corso a Palazzo Ducale (e visitabile sino al primo settembre 2024), descrive lo stesso Prayer (fu un giovane pittore e patriota italiano, morto nel 1832) nelle vesti del rinnegato Alp, un nobile veneziano passato ai Turchi, le cui vicende, messe in versi da Byron ne L’assedio di Corinto, furono poi musicate da Rossini. Nella sua strepitosa stesura pittorica, il quadro di Hayez ripropone i modi della ritrattistica veneta del Cinquecento, consegnandoci un’immagine squisitamente romantica: Alp appare preda di una segreta inquietudine, afflitto, lui che si appresta alla battaglia decisiva in cui troverà la morte, dal rimpianto struggente della patria lontana, abbandonata per sempre. Accanto alla tela di Hayez, a Genova è esposto L’autoritratto in costume orientale di Giacomo Trècourt, un’opera che intrattiene con la prima precise corrispondenze.

L’una e l’altra restano forse le immagini più eloquenti di quella nostalgia del luogo natio che nella mostra genovese emerge anche in altri dipinti come Servitù di Israele del pittore romantico (e hayeziano) Giacomo Antonio Caimi, Nostalgia di casa e Patria perduta del tirolese Thomas Walch, o L’ora nostalgica sul Mè-Nam, un incandescente arabesco orientale realizzato da Galileo Chini durante il suo soggiorno in Siam.

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La parola “nostalgia” fu coniata nel Seicento da uno studioso alsaziano, prendendo a prestito due vocaboli greci: nóstos (ritorno) e algos (dolore), per descrivere il malessere a cui andava soggetto chi, trattenuto in terra straniera, era afflitto dal rimpianto del paese natale. I curatori dell’esposizione, Matteo Fochessati e Anna Vyazemtseva, hanno inteso allargare l’indagine alle più diverse forme ed espressioni di un sentimento così ambivalente, e includervi così la nostalgia (romantica, leopardiana) dell’infinito (Le Cirque de Gavarnie di Gustave Doré); il rimpianto della Roma antica (Capriccio con rovine di Michele Mareschi, Il foro romano di Giovanni Faure) o della beatitudine edenica (Adamo ed Eva nel paradiso terrestre di Jan Brueghel il Giovane); e il ricordo affliggente della perduta felicità di chi vive un presente amaro (Screen Door di Miriam Tindall Smith, L’innamorata del mare di Pompeo Mariani).

Una sezione della mostra è riservata alla nostalgia della grande tradizione figurativa occidentale, così come essa si manifestò alla fine del Settecento attraverso il Neoclassicismo (l’arte greco-romana celebrata, secondo l’ottica di Winckelmann, come luogo privilegiato della bellezza ideale, apollinea, improntata a “nobile semplicità” e “quieta grandezza”), e come riemerse dopo la Grande guerra dal tramonto delle avanguardie storiche, grazie alle ricerche poetiche ed estetiche del “Ritorno all’ordine”. In entrambi i casi, la riflessione sull’antico acquistò una valenza nostalgica e allusiva, traducendosi nel ripiegamento elegiaco sulle fonti di un passato glorioso, percepito però come irraggiungibile, quasi che si avvertisse l’impossibilità di un recupero di quell’ideale di bellezza e perfezione che era proprio dell’arte classica.

La personificazione dell’Odyssée di Ingres, proveniente dal Museo di Belle Arti di Lione (la tela riprende l’immagine contenuta nella celebre Apoteosi di Omero, del Louvre), è fuori di dubbio uno dei vertici della rassegna. Da un fondo scuro emerge una figura femminile colta di profilo, in atteggiamento assorto, meditabondo. È seduta su una roccia, una mano sulla fronte, l’altra che stringe un remo (ad alludere al tema del viaggio, trattato nel poema omerico). Splendido il brano della tunica verde che ricopre il personaggio.

La rivisitazione della cultura figurativa classico-mediterranea propria del “Ritorno all’ordine” (un movimento che in Italia venne a polarizzarsi intorno alla rivista romana “Valori plastici” e al gruppo milanese “Novecento”) è esemplificata in mostra dall’ellenismo visionario di De Chirico (Due figure mitologiche, Autoritratto come Odisseo), Nathan (Statua naufragata), Mechahelles (Île de Cythère), dal robusto realismo di Carena (La quiete) e Gentilini (Giovani in riva al mare), nonché dagli austeri arcaismi quattrocenteschi di Arturo Martini (Le stelle, Vittoria alata).

Si sa: chi visita una mostra a tema rischia talora di disperdersi tra la varietà dei riferimenti e suggerimenti proposti dai curatori. Rischio largamente ricompensato, a Genova, dalla possibilità di scoprire opere di artisti forse poco noti, eppur capaci di sorprenderci e ammaliarci. Penso in particolare a un dipinto di straordinario impatto visivo, sfavillante dal punto di vista cromatico e ornamentale, come Demetra in lutto per Persefone della pittrice preraffaellita Evelyn De Morgan. Penso alla Dama a cavallo con corteo cavalleresco di Federico Angeli: un curioso omaggio alla celeberrima Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli, dove l’eleganza delle vesti, il tessuto arboreo fiabesco e, sullo sfondo, il profilo di rocce acuminate e taglienti, si nutrono di finezze neorinascimentali, esse pure di sapore preraffaellita.

Nicola Rossello

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